INTERVISTA A STEVE FORTUNATO, AUTORE DEL NUOVO ROMANZO "IL DANI' FUMAVA NAZIONALI SENZA FILTRO.

INTERVISTA A STEVE FORTUNATO, AUTORE DEL NUOVO ROMANZO "IL DANI' FUMAVA NAZIONALI SENZA FILTRO.

Milano, 17 gennaio 2022. Di Giannina Puddu

Steve Fortunato, lei ha dedicato il suo romanzo IL DANI' FUMAVA NAZIONALI SENZA FILTRO, a Emanuele, che sa il perché.

Non mi azzardo a chiederle “il perchè”.

Ma possiamo sapere chi sia Emanuele?

La sua dedica, così blindata, è un invito alla curiosità.

Emanuele è il grande amico perso e poi ritrovato. È la vita che, dopo tanti anni, ti fa incontrare casualmente in una piazza affollata di Milano. Non c’è bisogno di spiegarsi, di scusarsi ma ognuno sa del torto fatto e subito. La nuova occasione serve proprio a questo, non a dimenticare ma ad andare oltre.

Per questo oggi Emanuele non è un amico, ma l’amico.

Ed ancora, lei ha scritto: Ma il tempo tampona le ferite con un mastice che non indurisce mai.

Questo suona come un’anteprima sintetica del suo romanzo.

Cosa vuol dire? 

Spesso nei rapporti tra persone maturano odi e rancori che il tempo potrebbe affievolire, ammorbidire se non proprio far cadere nell’oblio. Ma l’animo umano è incapace di cancellarli totalmente e si trascinano per generazioni, senza nemmeno più conoscerne il motivo.

Il libro tratta anche di questo, di scelte maturate nel rancore, nella rabbia che si trasformano in ostacolo decisivo alla riappacificazione, alla distensione, al ritorno alla normalità.

Ed è ancora più doloroso perché nel romanzo questo si consuma nel rapporto più stretto che possa esserci, quello genitori figli

Danì, il personaggio del suo libro, era nato Ultimo di sei figli di una povera famiglia. Padre e madre dalla bassa padana erano emigrati in Francia dopo la Prima Guerra ma non era andata come avevano sperato. Erano tornati poveri come prima e si erano stabiliti in quel paesino del Piemonte.

Il padre di Danì era morto di tisi dopo poco.

Il Danì non se lo ricordava e gli sembrava strano. Ogni volta che cercava di ricordarselo lo vedeva come nella foto del matrimonio che aveva visto in un cassetto del comò di sua madre.

Lui era cresciuto vagabondo, trascurato dalla madre vedova e dai fratelli. Ogni giorno era una battaglia a cercare qualche piccolo lavoro e procurarsi da mangiare.

Così, lasciandoci intuire la vita di un bambino povero e solo, cresciuto in campagna, sin dalle prime pagine, lei ci ha portato al Danì ragazzo, pronto per la chiamata di leva.

E quindi, il servizio militare, a Napoli, dove, finalmente, Danì poteva avere pasti regolari e un clima disteso tanto da irrobustirsi nel corpo e rilassarsi nella mente.

Al tempo, Danì era già innamorato di Nelly, di molti anni più grande di lui, ma era la donna più bella che avesse mai visto.

E prima di partire per il servizio militare, lui e Nelly avevano ballato nella sala del Mambo del paese, diventando coppia fissa e sempre più stretti nei loro sentimenti d'amore che pare proprio fosse reciproco.

Si legge che, mentre era lontano,  Rivivendo quei momenti al Danì veniva un groppo in gola, gli brillavano gli occhi. 

Nelly e Danì si scambiavano lettere e Nelly, alla partenza di Danì, gli diede una sua foto e Danì, guardandola non vedeva l'ora di poter tornare per stringerla sè.

Ogni lettore ricava la sua percezione, ma, secondo lei che amore era stato?

Era l’amore semplice maturato in un ambiente di paese, senza troppe complicazioni né sovrastrutture.

Erano generazioni che venivano da una infanzia di guerra, quella vera, patita e non letta sui libri. Erano generazioni che sapevano cosa fossero la rinuncia, la fatica, il sacrificio, i valori veri della vita.

Vivevano di fatica, di lavoro in fabbrica, pasti frugali e bastava una fisarmonica a scatenare il desiderio, puro e sano, di divertirsi, di ballare. Ed era divertimento vero.

Danì e Nelly, anzi, il Danì e la Nelly, erano belli, ballavano bene, uno per l’altro erano rivincita, vita, evasione. Non penso si siano posti troppe domande dopo una serata passata a ballare ritmi latini impetuosi, sensuali.

E venne anche il figlio di  Danì e Nelly, concepito in una campagna piemontese,  prima del matrimonio, da un amore nato puro e sporcato dalla mentalità arcaica del luogo e del tempo, tra un uomo che si era innamorato di una donna più grande di lui, profondamente innamorata anche lei.

Se “gli altri”, con la loro morale cinica e cattiva, non ci fossero stati o se, al loro posto, ci fosse stato un ambiente emancipato, avrebbe potuto essere, vissuto serenamente,  un grande amore per sempre anzichè trasformarsi in un rancore reciproco profondo?

Non so se si sia trattato di amore, di sentimento o semplicemente di un rapporto occasionale poi continuato.

Il paese non è quel paradiso bucolico che spesso si tende a contrapporre all’indifferenza della città. I rapporti sono esasperati, tutti sanno tutto di tutti, facilmente nascono gelosie e invidie. Le persone sanno fare molto male, essere molto crudeli nel godere delle disgrazie altrui.

Inoltre quelli erano anni nei quali, secondo la morale comune, una ragazza madre era trattata con spregio, vista come una poco di buono.

Certo che è più difficile contrapporsi all’intera comunità di un paese piuttosto che a quella ristretta di un palazzo di città.

Poi i tempi, i costumi, la morale sono cambiati, non esiste nemmeno più il termine spregiativo “poco di buono”.

Il figlio di Danì e Nelly,  nasce e cresce in questa cultura bacchettona, come figlio non voluto e non opportuno, frutto di una distrazione del padre e della quale la madre aveva fatto una colpa irredimibile, causa della sua sfortunata esistenza, costretta ad un matrimonio riparatore 

Nelly, partorito suo figlio concepito prima del matrimonio, era stata travolta dal disprezzo della gente.

Avrebbe voluto subito al suo fianco, per quel figlio, almeno il suo amore Danì, che invece, travolto anche lui dall'avversità del loro mondo, l'aveva lasciata disperatamente sola.

Pare che questa condizione avesse portato Nelly ad un crollo emotivo dal quale non si sarebbe più ripresa, nè mai era stata curata.

E, così, il loro figlio nacque e crebbe nella stessa condizione di estrema tristezza che aveva vissuto Danì.

Una sorta di predestinata maledizione senza fine.

Che ruolo ha, secondo lei, l'ambiente, nella vita di ognuno di noi?

Io sono profondamente cinico e nichilista, ho sempre combattuto a muso duro qualsiasi condizionamento che arrivasse da persone o ambiente.

L’ambiente può essere stimolo. Oggi assistiamo a una esasperazione del concetto di libertà, di indipendenza che si esprimono nella perdita di valori, nell’accettazione di uno stile comune, trasversale alle generazioni.

Quella descritta nel romanzo è una sorta di consuetudine, si nasce, si cresce, si muore in paese. Al massimo ci si trasferisce in quello vicino per matrimonio.

Ma c’è anche chi scappa dal paese perché sente di non appartenergli.

Il bambino cresce ed anche il suo mondo, per fortuna e comunque, cambia, tanto che il figlio di Danì e Nelly pare trovare la sua strada, una nuova strada, di riscatto culturale e sociale, spezzata la catena familiare della sofferenza, scappando dalla casa di famiglia. 

E lei, alla pagina 51, ha scritto: Ora quel figlio era cresciuto e il Danì sentiva forte il calore dell’orgoglio paterno che gli dava avere un figlio all’Università, pur se anche  lui l’aveva sempre visto colpevole e ragione prima della sua infelicità. Una colpa che sin da bambino gli scaricava addosso con schiaffi, pedate, frustate con sottili rami di nocciolo giovane che laceravano la pelle e lasciavano segni rossi sanguinanti dove colpivano.

Cosa, secondo lei, aveva fatto scattare la virata positiva del figlio, liberandolo dal destino della famiglia che sembrava ineluttabile?

Come detto prima, c’è chi non accetta la consuetudine, la vive come vincolo insopportabile. Allora diventa un disadattato che non accetta e non viene accettato, un ribelle, sempre insoddisfatto se vogliamo. Ma una volta che impari ad andare via è più facile non ritornare”.

In verità, traspare, comunque, un amore disperato anche verso questo figlio. Sia del padre che della madre, nonostante la furia che gli scaricarono addosso per la "colpa" di essere nato.

Come se l’obbligo del matrimonio riparatore avesse potuto essere, invece,  una scelta sentita e voluta,  se Nelly e Danì  fossero stati liberi nell’indirizzo delle loro vite.

E’ così?

Il Danì è profondamente ligio al dovere, onesto, capace di sacrificarsi all’estremo…ma non ha un carattere forte, una personalità. Subisce la figura della moglie, accetta le sue decisioni, alla fine gliela da vinta su tutto, anche su cose banali. E questo sfocia inevitabilmente in violenza, in ira, in tensioni quotidiane.

Il Danì non sceglie mai, accetta, subisce. Potrebbe favorire la riappacificazione col figlio, lo vorrebbe, ma non fa nulla, non si oppone alla moglie.

Tuttavia, infine, anche se irrimediabilmente troppo tardi, si salva anche Danì e si salva due volte. 

Per essersi reso conto, ormai prossimo alla morte, di quanto amasse suo figlio e per suo figlio che lo soprese con il suo amore e la sua visita inaspettata in ospedale.

Nelly si salva perchè non poteva essere salvata. Soffriva di una grave depressione non diagnosticata e non curata e questo è più che sufficiente a spiegare il suo atteggiamento innaturale di moglie e di madre.

Questa lettura è coerente con il suo intento?

Il Danì ha sempre amato molto il figlio, così come la madre.

Per questo le reazioni sono così drastiche, dure, violente e tensioni, comuni a tutti i rapporti famigliari, vengono esasperate.

Il figlio trova una scusa per scappare in una banale lite, non diversa da tante altre. La sua non è una scelta ponderata, ma un punto dal quale non si rende conto che per nessuno ci sarà ritorno.

Il Danì non riesce ad esternare il suo sentimento verso il figlio, pensa che sia evidente, che lo dimostri coi fatti. Per questo tra padre e figlio ci sono così tanti silenzi.

Chissà se il Danì sente il figlio che lo chiama papà per l’ultima volta o se lo perde!

Questo suo racconto di vita familiare può calarsi nel mondo di oggi? In che modo?

L’argomento principale intorno al quale si sviluppa la storia, direttamente in situazioni narrate o attraverso contrapposizioni, è quello della famiglia.

La famiglia è o dovrebbe essere il contesto naturale di crescita, il nucleo che rappresenta sicurezza, protezione ma anche sa indicare valori e principi da seguire.

Ma la famiglia è una struttura complessa nelle dinamiche relazionali.

Si è passati da famiglie dove si litigava, si tradiva ma non ci si separava a situazioni dove è più facile separarsi che risolvere i problemi.

La violenza famigliare è un tema purtroppo sempre attuale. Le mura domestiche sanno essere una prigione che isola i drammi che avvengono al proprio interno.

Solitamente viene data eco a violenze che arrivano a forme estreme.

Ma esistono altrettante forme di violenza, non prettamente maschile, più sottili perché subdole, di coercizione, quotidianamente applicate fino a sottomettere l’altra persona.

Di queste forme di violenza non si parla, non fanno notizia ma generano ugualmente disagi profondi.