ifanews

   

Cambia navigazione
  • HOME
    • Chi Siamo
    • Contatti
    • Note legali
    • Link
    • Redazione
  • STORICO
  • DAL MONDO
  • DALL'ITALIA
  • DALLA LOMBARDIA

Banche, rating e un giallo da risolvere

  • Stampa
Pubblicato: 21 Ottobre 2011
Visite: 989

C'è una forte asincronia tra i downrating delle agenzie americane e la reale situazione delle grandi banche occidentali in crisi di liquidità. I rialzi delle Borse, dopo settimane in caduta libera, non debbono ingannare. I primi segnali di cauto ottimismo sono tutti legati all'annuncio della Bce di acquistare i bond bancari, dopo il si tedesco all'ampliamento del Fondo salva-Stati Efsf. Perché questo è il punto. Nonostante il crack nel settembre 2008 della Lehman Brothers molte, troppe banche sono fortemente esposte a causa dell' "effetto leva": cioè il capitale azionario tangibile spesso rappresenta solo il 2-4% delle masse che compongono l'intero bilancio. Un rischio potenziale incalcolabile, basta un nulla per scuotere le fondamenta. Emblematico il caso Dexia, la banca franco-belga che ha fatto shopping allegro in tutta Europa (in Italia ha acquistato il Crediop), ma ha bonds al 30 giugno 2010 per oltre 125 miliardi di euro. Il valore realizzabile sul mercato è meno della metà tanto che il "Sole 24 Ore" ha ironizzato su una agenzia di rating che ha continuato, fino a pochi giorni fa, a includerla nella lista "buy" (compra). Alle ore 11 del 5 ottobre, i governi francese e belga, co-azionisti di Dexia, si sono impegnati a "fornire la loro garanzia" sui finanziamenti di Dexia. Ma anche le altre cinque principali banche francesi hanno necessità di capitale pubblico. Ecco l'asincronia della situazione. Ognuno tira la corda nel proprio esclusivo interesse con buona pace della cooperazione internazionale. Anche le banche Usa, a tre anni dal fallimento di Lehman Brothers, sono in una fase delicata. I profitti, in forte decrescita (previsto a fine settembre un +3,6% ma due mesi fa le attese erano a +14,6%), soffrono per forti speculazioni. C'è il problema della costante fragilità del settore immobiliare e delle cause intentate per un totale stimato ad oltre 200 miliardi di dollari. 

L'esposizione verso le banche europee è un giallo: sta di fatto che il costo medio dei Cds per proteggersi dal rischio di insolvenza è pari al 5,77%. Di qui l'allarme dello stesso Obama perché la crisi dell'euro venga risolta al più presto. Non a caso la Merkel ha "aperto" al sostegno al credito dopo mesi di dinieghi. Per valutare la situazione nel suo complesso è utile uno studio di Credit Suisse che valuta in 8mila miliardi la crescita del debito pubblico (degli Stati) negli ultimi tre anni. Un'autentica montagna. Solo l'Irlanda ha debiti privati e pubblici che valgono il 370% del Pil; la Francia è oltre il 200% (con il rapporto debito-Pil all'87%) e la Spagna ha livelli di debito privato al 280% del prodotto interno lordo. Per gli Stati Uniti siamo al 163% del Pil. E' possibile trarre una conclusione da questa situazione? Un dato emerge su tutti. Vi sono troppi debiti per pensare di risolvere tutto "stringendo la cinghia". Il grido di allarme di Draghi sui "problemi di liquidità" delle banche vale più di qualsiasi commento. Si deve però combattere gli sprechi (vi sono oltre 45mila auto blu – Stato ed Enti locali - che impegnano un terzo dei poliziotti e carabinieri operativi). Nell'immediato dopo-guerra, in Italia, il Credito Edilizio concedeva mutui ipotecari a 35 anni al 3,5%. Occorre tornare ovunque ad un grado di ragionevolezza che coniughi l’ammortamento di lungo periodo con tassi di interesse accessibili. E' un modo per collegare l'azione politica (riforme strutturali) con l'economia reale ponendo fine alla follia della super-finanziarizzazione.

di Guido Colomba

Tweet
Pin It
Commenta (0 Commenti)

Riflessioni sulla crisi - Solvibilità degli intermediari e politiche creditizie

  • Stampa
Pubblicato: 20 Ottobre 2011
Visite: 1320

alt

Nel 2009, durante la Presidenza Aiaf - Associazione Italiana degli Analisti Finanziari - di Gregorio de Felice, un gruppo di lavoro coordinato da Alfonso Scarano ha organizzato un vasto dibatto associativo e realizzato il "Position paper Aiaf sulla crisi finanziaria", pubblicato il 17 marzo 2009. Pubblicheremo il documento in otto puntate corrispondenti agli otto punti di intervento definiti nello stesso. Oggi nel 2011, una riflessione sul tema è ancora quanto mai attuale.
 
Solvibilità degli intermediari e politiche creditizie
 
Occorre moderare il carattere fortemente prociclico dell’Accordo di Basilea 2, eventualmente accogliendo l’ipotesi di sostituire agli attuali coefficienti - definiti puntualmente - un intervallo di valori. La crisi finanziaria ha messo in evidenza il carattere fortemente prociclico degli indici di solvibilità introdotti dagli Accordi di Basilea. Obiettivo del secondo Accordo è accrescere la sensibilità al rischio dei requisiti minimi di capitale: tanto nella versione cd. standardizzata che in quella denominata internal rating based, ciascuna attività è infatti ponderata in relazione al rispettivo grado di rischio. In caso di recessione, l’eventuale downgrade del prenditore comporta per le banche la necessità di effettuare maggiori accantonamenti, restringendo i flussi di credito; al contrario, in fase di espansione, i miglioramenti del merito di credito della clientela si traducono in minori accantonamenti ed in una più ampia possibilità di erogare flussi di finanziamento. Ad amplificare l'effetto prociclico concorrono, in una fase recessiva, le perdite su crediti e le svalutazioni delle attività finanziarie e dell'avviamento, che deprimono gli utili e quindi la capacità di generare capitale per via interna; l'opposto si verifica nelle fasi di espansione economica, in presenza di utili che accrescano il patrimonio di vigilanza. Al fine di attenuare il citato effetto prociclico, il Gruppo dei Trenta ha recentemente avanzato il suggerimento che i coefficienti di riferimento siano espressi in termini di intervallo di valori, anziché in modo puntuale (Group of Thirty, “Financial Reform: a Framework for Financial Stability”, gennaio 2009). Agli intermediari potrebbe essere richiesto di posizionarsi nella parte alta del range di riferimento - mantenendo valori dell’indice di capitalizzazione eventualmente anche più elevati di quelli attualmente richiesti dalla regolamentazione – nelle fasi di maggiore esuberanza dei mercati, quando è più elevata la probabilità che i rischi non siano correttamente valutati. Al contrario, nelle fasi di crisi potrebbe essere consentito di collocarsi nella parte bassa dell’intervallo, laddove emergano rischi consistenti di restrizione del credito.
 
fonte www.aiaf.it
 
qui la puntata precedente del dibattito, ovvero Riflessioni sulla crisi, supervisione e vigilanza sui mercati e sugli emittenti
 
alt
Tweet
Pin It
Commenta (0 Commenti)

ESCLUSIVA Consulenti, quando l’indipendenza è solo una bugia

  • Stampa
Pubblicato: 20 Ottobre 2011
Visite: 2810

alt

Pubblichiamo in esclusiva un documento ottenuto dalla nostra redazione da un promotore finanziario. Per motivi di privacy non pubblichiamo i nomi dei protagonisti della vicenda, la quale però ricalca bene un problema di fondo in materia di consulenza.
 
“Gentile dottore X,
un mio cliente è stato avvicinato dallo studio finanziario “indipendente” XXX. Peccato che uno dei partner “indipendenti” di questa società risulti proprietario della sociatà YYY che a sua volta controlla la Sicav lussemburghese ZZZ e gestisce direttamente il comparto “trend”. Non ci dovrebbe essere incompatibilità tra questi ruoli, secondo l’articolo 13 dell’allegato regolamento Consob 15/1/2010?”
 
Un caso sintomatico, che evidenzia una problematica decisamente ampia, quella del conflitto di interessi, una problematica che non risparmia anche il mondo della cosiddetta consulenza “fee only”, ora come ora, per problemi normativi dovuta alla effettiva mancanza di regolamentazione, un vero è proprio porto franco per chiunque voglia esporre un gagliardetto che in realtà non gli appartiene. Il fatto è che tutto tace, nessuno vede nulla. E indignarsi diventa davvero un gioco da ragazzi.
 
 
 
Tweet
Pin It
Commenta (0 Commenti)

Abi, sofferenze record per le banche italiane, mentre volano i rendimenti dei bond istituzionali

  • Stampa
Pubblicato: 19 Ottobre 2011
Visite: 971

 

Sofferenze record per le banche italiane. Ad agosto, secondo quanto emerge dal bollettino mensile dell'Abi, quelle lorde sono risultate pari a circa 100,2 miliardi di euro, 1,2 miliardi in più rispetto a luglio 2011. È da rilevare che da gennaio 2011 l'aumento delle sofferenze lorde e nette risente anche di talune operazioni realizzate da alcuni gruppi bancari negli assetti societari, pertanto non è possibile effettuare un confronto omogeneo rispetto ai dati dello stesso periodo dello scorso anno. In rapporto agli impieghi le sofferenze risultano pari al 5,1% ad agosto 2011 (5% il mese precedente). Con riguardo alle sofferenze al netto delle svalutazioni, ad agosto 2011 sono risultate pari a quasi 54,5 miliardi di euro, circa 1,1 miliardi in più rispetto al mese precedente. Il rapporto sofferenze nette/impieghi totali si è collocato al 2,83%.
 
Cambiando focus i rendimenti su livelli record per i titoli di Stato italiani. Il bollettino mensile dell'Abi scatta la fotografia a settembre. Sul mercato secondario, il rendistato, cioè il dato relativo al campione dei titoli con vita residua superiore all'anno scambiati alla Borsa valori italiana (Mot), si è collocato al 5,23%, 39 punti base al di sopra del valore di agosto 2011 e 196 basis points al di sopra del valore di settembre 2010, segnando il valore più elevato degli ultimi cinque anni. Nel mese di settembre il rendimento lordo sul mercato secondario dei Cct è risultato pari a 5,36% (4,55% ad agosto 2011; 1,84% ad settembre 2010). Con riferimento ai Btp, nella media del mese di settembre 2011 il rendimento medio è risultato pari al 5,68% (5,30% ad agosto 2011; 3,92% a settembre 2010). Il rendimento medio lordo annualizzato dei Bot, infine, è passato nel periodo agosto - settembre 2011 dal 2,19% al 2,57%. 
 

 

Tweet
Pin It
Commenta (0 Commenti)

Credit Suisse, la ricchezza è un affare per pochi

  • Stampa
Pubblicato: 19 Ottobre 2011
Visite: 858

Meno dell'1% della popolazione mondiale detiene il 38,5% della ricchezza globale. Sono 28,7 milioni gli adulti con patrimoni superiori a un milione di dollari, secondo un report di Credit Suisse. E nell'ultimo anno l'Europa ha sorpassato gli Stati Uniti per quota di milionari: il 37,2% vive nell'Ue contro il 37% in Usa. In Cina i super-ricchi hanno superato per la prima volta il milione e gli ultraricchi con patrimoni oltre 50 milioni sono 5.400. Solo negli Usa ce ne sono di più (35.400).

Ma entriamo nel dettaglio della ricerca

 

 Il Credit Suisse Research Institute ha pubblicato oggi il secondo Global Wealth Report annuale, dal quale emerge che la regione Asia Pacific ha agito da locomotiva della crescita della ricchezza globale, di cui ha complessivamente generato il 36% dal 2000 e il 54% da gennaio 2010. Nel suo insieme, la ricchezza mondiale è aumentata del 14%, passando dai 203 000 miliardi di dollari di gennaio 2010 ai 231 000 miliardi di giugno 2011. I mercati emergenti si riconfermano il principale motore della dinamica, progredita a ritmo incalzante soprattutto in America latina, Africa e Asia. Sulla scia dell'espansione che vede protagonisti i paesi emergenti, si prevede che nel prossimo quinquennio la ricchezza globale aumenterà del 50% a quota 345 000 miliardi di dollari e che la ricchezza pro capite della popolazione adulta registrerà un incremento del 40 %, attestandosi a 70 700 dollari.

Secondo l’analisi i mercati emergenti hanno maggiori margini per aumentare la ricchezza personale in virtù del rapporto investimenti finanziari netti/reddito e del rapporto debito/reddito nettamente inferiori a quelli delle economie mature. Inoltre, l'invecchiamento demografico è destinato ad alimentare la domanda di investimenti finanziari rispetto a valori reali quali gli immobili.

 

Giles Keating, responsabile Global Economic Research per il Private Banking e la divisione Asset Management del Credit Suisse e membro dell'Operating Committee del Credit Suisse Research Institute, ha commentato: "Il Credit Suisse ritiene che l'incalzante crescita della ricchezza nei paesi emergenti alimenterà nuovi trend sul fronte dei consumi e degli investimenti in Asia e depone pertanto a favore delle iniziative di ricerca tematica proprietaria della banca sui megatrend globali della demografia e del mondo multipolare. Il livello del debito pro capite europeo, di gran lunga maggiore di quello asiatico, e il tasso di crescita della ricchezza dell'Asia, che supera nettamente quello europeo, suggeriscono la possibilità di un'intensa collaborazione reciproca in grado di alleviare la crisi del debito nell'area dell'euro".

 

Stefano Natella, responsabile di Equity Research, Investment Banking, e membro dell'Operating Committee del Credit Suisse Research Institute, ha dichiarato: "A differenza di altre indagini, il Global Wealth Report del Credit Suisse genera dati proprietari esclusivi e intende essere lo studio più esaustivo sulla ricchezza globale. Sulla scorta di una rigorosa metodologia di ricerca indipendente, il rapporto esamina la distribuzione della ricchezza in oltre 200 paesi tra i 4,5 miliardi di individui che costituiscono la popolazione mondiale adulta".

 

Osama Abbasi, Chief Executive Officer Asia Pacific del Credit Suisse, ha dichiarato: "La seconda edizione del Global Wealth Report conferma che il contesto economico è nel pieno di una fase di trasformazione senza precedenti, a cui si accompagna il radicale riassetto dello scacchiere internazionale. I mercati emergenti, importanti catalizzatori della ripresa globale, si riconfermano nel ruolo di locomotiva della crescita della ricchezza mondiale".

 

Trainata dal sostanziale contributo delle economie emergenti, da gennaio 2010 la ricchezza mondiale è aumentata del 14 per cento a 231 000 miliardi di dollari

Dal Global Wealth Report 2011 del Credit Suisse emerge che, sulla scia della costante ripresa economica dalla crisi finanziaria globale, la ricchezza mondiale complessiva è aumentata del 14 per cento, passando dai 203 000 miliardi di dollari di gennaio 2010 ai 231 000 miliardi di giugno 2011. La ricchezza pro capite ha esibito un incremento del 9 per cento, portandosi dai 46 600 dollari di gennaio 2010 ai 51 000 dollari di giugno 2011. La crescita più sostenuta è stata appannaggio di America latina, Africa e Asia. Gli Stati Uniti, che negli ultimi 18 mesi hanno generato 4600 miliardi di dollari, si sono distinti come principale fonte di ricchezza a livello mondiale. Nel periodo in rassegna, il contributo determinante alla crescita della ricchezza globale è giunto dalla regione Asia Pacific – soprattutto grazie ai capitali accumulati da Cina, Giappone, Australia e India (tabella 1) – a cui va inoltre il merito di aver generato il 36 per cento della ricchezza mondiale dal 2000 e il 54 per cento dal 2010.

 

Nella regione Asia Pacific, il dato complessivo riferito alle economie domestiche è progredito del 23 per cento, passando dai 61 000 miliardi di dollari di gennaio 2010 ai 75 000 miliardi di giugno 2011. Tale dinamica è in netto contrasto con i tassi di crescita della ricchezza complessiva del 9,2 per cento e 4,8 per cento rispettivamente registrati nello stesso periodo dagli Stati Uniti e dall'Europa, che riflettono il megatrend globale del graduale spostamento del potere economico dai paesi sviluppati alle economie emergenti. Dal rapporto emerge che l'indebitamento medio pro capite dell'Europa (25 550 dollari) è nettamente superiore a quello della regione Asia Pacific (9227 dollari), un divario che lascia ai due colossi un ampio margine di manovra per avviare una collaborazione reciproca volta ad alleviare la crisi del debito nell'area dell'euro.

 

Tabella 1: classifica dei primi 20 paesi per contributo alla crescita della ricchezza mondiale in termini di valore (da gennaio 2010 a giugno 2011)

Graduatoria

Paese

Aumento della ricchezza complessiva (in miliardi di USD)

1

 Stati Uniti

4555

2

 Cina

4072

3

 Giappone

3805

4

 Brasile

1870

5

 Australia

1855

6

 India

1272

7

 Canada

865

8

 Svizzera

735

9

 Francia

684

10

 Messico

551

11

 Regno Unito

514

12

 Germania

461

13

 Corea del Sud

421

14

 Indonesia

420

15

 Svezia

409

16

 Taiwan

387

17

 Sudafrica

339

18

 Singapore

307

19

 Colombia

228

20

 Norvegia

218

 

Il vertice della piramide della ricchezza

Dal rapporto emerge che, pur rappresentando meno dell'1 per cento della popolazione mondiale adulta, i 29,7 milioni di individui con un patrimonio privato superiore a un milione di dollari possiedono il 38,5 per cento della ricchezza delle famiglie a livello globale. Con il 37,2 per cento dei milionari nel mondo, quest'anno l'Europa si è lasciata alle spalle gli Stati Uniti (37 per cento). Nella regione Asia Pacific il primato spetta al Giappone, con l'11 per cento o 3,1 milioni di milionari, seguito dall'Australia e dalla Cina (un milione ciascuna). Stando alle stime del rapporto, in Cina il numero degli High Net Worth Individual (HNWI) ha superato per la prima volta la soglia di un milione e corrisponde al 3,4 per cento del segmento complessivo a livello globale.

 

In base alle previsioni da noi elaborate in giugno 2011, nel mondo si contano 84 700 Ultra-High Net Worth Individual (UHNWI) con un patrimonio netto superiore a 50 milioni di dollari ciascuno. 29 000 di essi possiedono attivi per almeno 100 milioni di dollari e in 2700 casi il patrimonio supera quota 500 milioni. L'impennata del numero di UHNWI osservata nell'ultimo decennio è ascrivibile all'aumento generale dei valori patrimoniali e all'apprezzamento di altre monete rispetto al biglietto verde. In termini di singoli paesi, gli Stati Uniti guidano la classifica con 35 400 UHNWI (pari al 42 per cento del totale mondiale), seguiti con enorme distacco da Cina (5400 UHNWI o 6,4 per cento), Germania (4135 o 4,9 per cento), Svizzera (3820 o 4,5 per cento) e Giappone (3400 o 4 per cento). Gli UHNWI sono protagonisti di una parabola ascendente anche negli altri paesi BRIC: in giugno 2011 se ne contavano 1970 in Russia, 1840 in India e 1520 in Brasile.

 

Raffronto internazionale: i dieci paesi in testa alla classifica della ricchezza media pro capite

In termini di ricchezza media pro capite della popolazione adulta, nel 2011 la Svizzera, l'Australia e la Norvegia conquistano il podio nel raffronto internazionale. Il primato mondiale spetta alla Svizzera, che con 540 010 dollari pro capite è l'unico paese a superare la soglia del mezzo milione. Singapore si posiziona dietro l'Australia quale seconda nazione più ricca della regione Asia Pacific e si aggiudica il quinto posto su scala mondiale per quanto attiene alla ricchezza media. L’Italia si attesta in ottava posizione.

 

Tabella 2: classifica dei primi dieci paesi per ricchezza media pro capite nel 2011

Graduatoria

Paese

Ricchezza media pro capite in giugno 2011 (in USD)

Variazione percentuale da gennaio 2010

1

Svizzera

540 010

27,7

2

Australia

396 745

37

3

Norvegia

355 925

17,6

4

Francia

293 685

4

5

Singapore

284 692

32,1

6

Svezia

284 146

23,2

7

Belgio

275 524

4

8

Italia

259 826

0,7

9

Regno Unito

257 881

2,8

10

Giappone

248 770

17

 

La ricchezza globale dovrebbe aumentare del 50 per cento a 345 000 miliardi di dollari entro il 2016

Secondo le previsioni del rapporto, la ricchezza mondiale è destinata ad aumentare del 50 per cento a 345 000 miliardi di dollari entro il 2016, con un tasso di crescita annuo dell'8,4 per cento. Nello stesso periodo, la ricchezza pro capite della popolazione mondiale adulta dovrebbe progredire del 40 per cento rispetto al 2011, attestandosi a 70 700 dollari. Anche nel 2016 la principale fonte di ricchezza al mondo dovrebbero essere gli Stati Uniti, con un dato complessivo riferito alle economie domestiche pari a 82 000 miliardi di dollari. Si prevede che la Cina subentrerà al Giappone nel ruolo di secondo paese più ricco al mondo, con una crescita della ricchezza complessiva delle famiglie pari a 18 000 miliardi di dollari a quota 39 000 miliardi nel 2016, a fronte dei 31 000 miliardi del paese del Sol levante. Il terzo posto verrà condiviso da Francia e Germania, con 20 000 miliardi di dollari ciascuna. Nel prossimo quinquennio il segmento centrale della piramide della ricchezza, a cui appartengono gli individui con un patrimonio netto pro capite compreso tra 10 000 e 100 000 dollari, dovrebbe ampliarsi dall'attuale 24 per cento al 31 per cento della popolazione mondiale adulta. Prevediamo inoltre un aumento della quota di adulti con un patrimonio superiore a 100 000 dollari dall'8,8 per cento del 2011 al 10,9 per cento nel 2016.

 

Passi da gigante per le economie emergenti nei prossimi cinque anni

Alla luce delle prospettive di crescita più rosee, è lecito ipotizzare che nel prossimo quinquennio il dinamismo delle economie emergenti sarà nettamente superato da quello dei paesi sviluppati. In base alle previsioni, entro il 2016 la ricchezza della Cina e dell'Africa metterà a segno un incremento di oltre il 90 per cento, raggiungendo rispettivamente quota 39 000 e 5800 miliardi di dollari, mentre il dato riferito all'India e al Brasile dovrebbe più che raddoppiare a 8900 e 9200 miliardi di dollari.

 

La sensazionale portata dell'espansione dei paesi emergenti è sottolineata dal raffronto operato dallo studio tra le previsioni sull'aumento della ricchezza nelle economie emergenti dai tassi di crescita più elevati nei prossimi cinque anni e l'evoluzione degli Stati Uniti nel corso del XX secolo. La ricchezza complessiva della Cina, attualmente pari a 20 000 miliardi di dollari, equivale a quella degli Stati Uniti nel 1968 e nel prossimo quinquennio dovrebbe salire a 39 000 miliardi, lo stesso livello raggiunto dagli Stati Uniti nell'arco di 22 anni, tra il 1968 e il 1990. La ricchezza complessiva dell'India, che nel 2011 si attesta a 4100 miliardi di dollari, corrisponde invece a quella statunitense nel 1916, ma nel giro di cinque anni è destinata a raggiungere quota 8900 miliardi di dollari, pari al progresso compiuto dagli Stati Uniti nel trentennio tra il 1916 e il 1946. Parimenti, le prospettive di crescita della ricchezza complessiva del Brasile dagli attuali 4500 miliardi di dollari a 9200 miliardi nel 2016 equivalgono all'espansione messa a segno dagli Stati Uniti nel corso di 23 anni, dal 1925 al 1948.

 

Alla luce delle stime del rapporto, entro il 2016 il numero dei milionari nel mondo dovrebbe aumentare di 17 milioni a un totale di 47 milioni e su questo fronte le economie emergenti sembrano destinate a guadagnare parecchio terreno rispetto alle nazioni sviluppate (tabella 3). 

 


Tabella 3: numero di milionari nei mercati emergenti nel quinquennio 2011-2016

 

Numero (in migliaia)

Variazione

2011

2016S

(%)

Cina

1017

2381

134

Taiwan

343

503

47

Brasile

319

815

155

Corea del Sud

217

425

96

India

204

510

150

Singapore

183

408

123

Messico

175

344

97

Indonesia

112

242

116

Turchia

98

179

83

Russia

95

171

80

Hong Kong

89

146

64

Sudafrica

71

243

242

Arabia Saudita

44

64

45

EAU

40

54

35

Malaysia

39

73

87

Colombia

37

56

51

Kuwait

31

45

45

Argentina

31

58

87

Egitto

31

92

197

Cile

28

40

43

Mondo

29 674

46 580

57

 

Cronologia della ricchezza e impatto dell'invecchiamento demografico

Lo studio suggerisce che, in virtù della relazione tra investimenti finanziari netti e reddito e del rapporto debito/reddito nettamente inferiori a quelli delle economie mature, i mercati emergenti godono di un ampio margine di azione per incrementare la ricchezza personale. Sin dal 1980, tutti i paesi del G-7 evidenziano un sensibile aumento del debito delle famiglie in relazione al reddito e un rapporto tra investimenti finanziari e valori reali superiore a quello delle economie emergenti, che a loro volta tendono a esibire anche un rapporto tra patrimonio netto e reddito di gran lunga inferiore. Il rapporto sostiene che fattori quali l'aumento dell'aspettativa di vita e della durata della quiescenza, l'invecchiamento demografico e le crescenti incertezze in merito al reddito da lavoro e ai futuri costi sanitari sono destinati ad alimentare la necessità di risorse patrimoniali private, che nel corso del tempo comporterà un incremento del rapporto ricchezza/reddito nei paesi emergenti.

 

Il rapporto sottolinea inoltre che la relazione tra ricchezza ed età è destinata a svolgere un ruolo di primo piano nel contesto degli sviluppi demografici globali verso l'invecchiamento della popolazione, che innescherà un aumento della ricchezza media e del rapporto ricchezza/reddito sulla scorta della crescente domanda di investimenti finanziari rispetto a valori reali quali gli immobili. Le pressioni esercitate dall'invecchiamento demografico sui sistemi previdenziali pubblici e su altre misure assistenziali per gli anziani richiederanno con tutta probabilità una maggiore responsabilità privata in vista del pensionamento, che nel lungo periodo si tradurrà in un incremento della ricchezza delle famiglie.

 

Note agli editori

§  Il rapporto definisce la ricchezza come somma degli investimenti finanziari e dei valori reali (prevalentemente immobili) al netto del debito delle famiglie.

§  Tutti i dati attuali si riferiscono a metà 2011 e sono calcolati in funzione dei tassi di cambio praticati allora (senza parità del potere d'acquisto).

§  Le cifre presentate nel rapporto si basano sui migliori dati disponibili sui patrimoni e i debiti delle famiglie, aggiornati e stimati all'occorrenza. Per informazioni complete sulle fonti e sulla metodologia si rimanda al Global Wealth Databook 2011.

§  Le previsioni per il 2016 sono formulate dal Credit Suisse Research Institute sulla scorta delle stime delle tre componenti della ricchezza: investimenti finanziari, valori reali e debiti.

 

Tweet
Pin It
Commenta (0 Commenti)

(Rac)conto bancario

  • Stampa
Pubblicato: 18 Ottobre 2011
Visite: 835

Di Didier LE MENESTREL, Presidente di Financière de l’Echiquier e Marc CRAQUELIN, Direttore Investimenti di Financière de l’Echiquier 
 
“C’erano una volta, a Baghdad, un Califfo e il suo Vizir. Un giorno, il Vizir si presentò davanti al Califfo, tutto pallido e tremante: --‐ Perdona il mio pavento, Luce dei Credenti, ma davanti al Palazzo una donna mi ha urtato nella folla. Mi sono voltato: e questa donna dalla carnagione chiara, i capelli scuri e la gola velata da una sciarpa rossa era la Morte. Vedendomi, ha fatto un gesto verso di me. Poiché la morte mi cerca qui, Signore, permettimi di fuggire e di nascondermi lontano, a Samarcanda. Se faccio presto, vi arriverò prima del calar del sole. Detto questo, si allontanò al galoppo con il suo cavallo e scomparve in una nuvola di polvere verso Samarcanda. Il Califfo allora uscì dal Palazzo e incontrò a sua volta la Morte. Le chiese: --‐ Perché spaventare il mio Vizir che è giovane e robusto? E la Morte rispose: --‐ Non ho voluto spaventarlo, ma vedendolo a Baghdad, il mio è stato un gesto di meraviglia, poiché lo attendevo questa sera a Samarcanda.”
 
Dall’inesorabilità del destino rievocata in questo racconto arabo alle angosce del settore bancario, non vi è che un passo. Dopo l’eccessiva diffusione di asset “tossici” e l’impiego di leve troppo importanti, abbiamo tutti applaudito nel 2009 e nel 2010 il ritorno all’ortodossia finanziaria nel settore. Incoraggiata dalle regole di Basilea 3 la maggior parte delle banche europee ha accumulato senza battere ciglio debiti sovrani, pensando così di mettersi al riparo dal rischio e credendo, in tal modo, di conformarsi a tale ortodossia. Questo movimento verso i titoli di Stato dell’area euro è un po’ come la fuga a Samarcanda: tutte le banche europee oggi sono imbarazzate a causa di questi asset teoricamente senza rischi. La valorizzazione dei debiti sovrani è rimessa improvvisamente in discussione dal mercato, fenomeno misurato ed amplificato dai famosi CDS(2) (assicurazione su un rischio di inadempienza), che riflettono all’eccesso le inquietudini degli investitori. Il CDS Francia oggi costa il doppio rispetto al CDS DANONE! Senza rimettere in discussione la solidità del gruppo agro--‐alimentare, vi pare ragionevole? Su questo stesso tema, il CDS Italia vale il doppio di quello della Colombia: si dorme molto meglio prestando il proprio denaro ai Colombiani piuttosto che agli Italiani? Nel racconto la morte fa una sola vittima: il Vizir…
 
Nel nostro mondo bancario, invece, la vittima si chiama DEXIA e non ci rimane che sperare che sia l’unica. Ma poiché i processi incantatori non bastano, ricordiamo ai nostri politici che debiti europei e banche sono ormai legati da un destino comune. Contrariamente alla crisi dei mutui subprime, che in un certo senso era stata "costruita" dagli istituti bancari, quella che oggi ci preoccupa è innanzitutto una questione di Stati troppo spendaccioni! Le banche europee, tanto attrici quanto vittime dell’attuale situazione, devono essere “mantenute a Palazzo”, ovvero devono essere dotate di liquidità e ricapitalizzate, se necessario. Smettiamola con gli indugi e gli adeguamenti normativi pro--‐ciclici, solo così cesserà l’inesorabile galoppata e si potranno salvare sia le banche che i debiti di stato europei. Il costo del salvataggio sarà elevato ed intaccherà a lungo la crescita, ma sarà salutare per l’economia nel suo complesso e per le nostre aziende preferite, in particolare. 
 
Tweet
Pin It
Commenta (0 Commenti)

Indagine: sul futuro dell’Euro prevale l’ottimismo

  • Stampa
Pubblicato: 18 Ottobre 2011
Visite: 929

 

Nonostante il perdurare delle turbolenze dell'eurozona, gli investitori europei continuano ad avere
fiducia nell'euro, nella sua struttura attuale. Secondo i risultati di un’indagine condotta da Allianz Global
Investors, l’80% degli investitori istituzionali europei ritiene infatti che l’euro supererà le sfide del
momento.
 
Il 42% dei rispondenti ritiene assai probabile un ulteriore rafforzamento dei meccanismi di stabilità
dell’area euro, ed il 25% considera l’introduzione degli eurobond come il più probabile elemento di
novità. Al contrario l’adozione di un regime fiscale comune per l’eurozona, ipotesi spesso citata come
prerequisito per la sostenibilità dell’euro, non è considerata ragionevole per il prossimo futuro: solo
l’11% dei rispondenti ritiene vi sia la massima probabilità che si verifichi
.
Il commento di Andreas Utermann, Chief Investment Officer di RCM, società del gruppo Allianz Global
Investors, sui risultati dell’indagine:
“Un crollo della moneta unica sembra improbabile in quanto comporterebbe costi proibitivi, inoltre
riteniamo che gli sforzi messi in atto dai politici dell’area euro si stiano intensificando. Sebbene non sia
ancora chiaro se la sforbiciata al debito greco andrà oltre la proposta di luglio, che prevedeva una
partecipazione del settore privato nell’ordine del 20%, sembra improbabile che la Grecia possa uscire
dal sistema euro. Nondimeno, dobbiamo riconoscere l’impatto del rischio politico sull’attuale contesto
dei mercati dei capitali”.
Molti euroscettici si aspettano una prossima divisione dell’eurozona, ma questo scenario è considerato
probabile anche da diversi sostenitori della moneta unica. In particolare, gli investitori britannici sono i
più dubbiosi: il 41% dei rispondenti ritiene che l’euro non sopravvivrà nella sua forma attuale ed alcuni
affermano apertamente di aspettarsi il default della Grecia e la sua fuoriuscita dall’unione monetaria. Al
contrario la grande maggioranza dei rispondenti in Germania e Francia, e tutti i rispondenti italiani,
ritengono che l'euro supererà l’attuale momento di crisi.
 
Aggiunge Andreas Utermann:
“Lo scetticismo dei britannici sull’euro non è certo una novità. Tuttavia è crescente la convinzione che
l'economia britannica, pur non facendo parte dalla moneta unica, tragga notevoli benefici dalla stabilità
dell'euro in virtù dei suoi stretti legami economici e finanziari con l’eurozona. Le recenti dichiarazioni
del Primo Ministro britannico, che ha esortato all’azione i paesi dell’area euro, dimostrano chiaramente
questo orientamento”.
L’indagine è stata condotta da Allianz Global Investors nel settembre 2011 ed ha coinvolto 140
investitori istituzionali di 11 paesi europei1 attivi nella gestione e nella consulenza, per un patrimonio
complessivo di oltre 900 miliardi di euro.
 
Tweet
Pin It
Commenta (0 Commenti)

Mondo etf, il 19 ottobre appuntamento al Four Seasons

  • Stampa
Pubblicato: 18 Ottobre 2011
Visite: 695

 

Un recente studio di Greenwich Associates condotto negli Stati Uniti rivela che circa la metà delle società di gestione e un terzo dei fondi istituzionali interpellati prevede d’incrementare l’utilizzo di Etf nei propri portafogli nei prossimi due anni. 
 
Nessun single asset manager ha intenzione di diminuire la quota degli investimenti destinata agli Etf e meno di un fondo istituzionale su dieci ha pianificato una riduzione di questa market share da qui al 2013. Il forte aumento di flussi e volumi su Etf registrato negli ultimi anni in Europa lascia intendere prospettive di crescita a doppia cifra del numero degli utilizzatori e delle masse in gestione per il prossimo triennio. 
 
Gli operatori professionali utilizzano gli Etf sia per fini tattici, soprattutto per la gestione della liquidità e a benchmark, sia in ottica strategica, in particolare per interventi di ribilanciamento e approcci core/satellite. In questo contesto, MondoEtf si prefigge di far emergere benefici ed opportunità di alcune delle strategie d’investimento in Etf più diffuse, con l’aiuto di case history analizzati da vari esperti dell’industria. 
 
L’appuntamento è quindi fissato per il prossimo mercoledì 19 ottobre dalle 9 alle 13 presso l’hotel Four Season, in Via Gesù 6/8 Milano
 
Tweet
Pin It
Commenta (0 Commenti)

Consulenza finanziaria, il vero giudice è il Popolo

  • Stampa
Pubblicato: 17 Ottobre 2011
Visite: 1459

alt

 

 

 

 

 

 

Peter Grimmet, intervistato da Francesco D’Arco per ADVISOR ON LINE, aveva espresso le sue considerazioni sulla riforma dell’attività di distribuzione finanziaria e sui suoi possibili effetti in Europa. La ormai nota RDR, di cui, come ASSOFINANCE, avevamo già più volte detto e scritto, fin dall’ormai lontano intervento, di David Bower, nell’anno 2010, durante un convegno organizzato presso l’Università IULM di Milano. Appariva subito, come elemento “forte” nell’attività e nel pensiero della FSA, l’introduzione del divieto, a partire dal gennaio 2013, di ogni retrocessione che fosse legata al collocamento dei prodotti finanziari. Particolarmente forte in Italia a fronte delle decine di migliaia di promotori finanziari presenti, la cui attività, come noto, è remunerata con provvigioni. Oltre ai promotori, il costo delle piramidi sovrastanti più o meno piatte a seconda dei casi… Se l’Europa introducesse lo stesso divieto si porrebbe non solo la grande questione del come retribuire i promotori finanziari ma anche la domanda circa il senso stesso della loro attività. Un riverbero, sull’industria finanziaria italiana, di portata storica e tutto da lavorare nonostante molte reti di promotori si siano già affrettate ad aggiungere, nella cartella prodotti, anche il servizio di consulenza. Ma con quale gratificazione per il promotore per il quale la consulenza è, appunto, solo un nuovo prodotto e non impegno intellettuale? Osservava Grimmet: “il cliente deve capire che la consulenza ha un costo…” Questa premessa vale anche in Italia e si può aggiungere che, non solo il cliente deve capire che la consulenza ha un costo, ma deve anche decidere se intenda pagare il costo espresso in modo trasparente o opaco. La voce del Popolo, pare sollevarsi ed espandersi sul pianeta, invocando la trasparenza. Ma, a questo riguardo, Grimmet ha una chiosa triste perché , prevedendo costi significativi per le strutture di consulenza indipendente, ritiene che i piccoli risparmiatori non potranno permettersela.. Dissento. Nel tempo e neanche troppo lontano, le società di consulenza sapranno dotarsi dei processi necessari alla realizzazione delle economie di scala funzionali all’erogazione del servizio di consulenza per tutti: clienti grandi, medi, piccoli. strong>L’altro aspetto significativo, da punto di vista dei consulenti finanziari indipendenti, trattato da Grimmet è quello del requisito di indipendenza legato al riconoscimento degli incentivi. L’Italia, grande paese “discusso”, dentro e fuori dai suoi confini, in modo appropriato e, più spesso, inopportuno, ha già manifestato la sua leadership intellettuale sul tema capovolgendo, di fatto, il dilemma e adottando la sua soluzione. Il legislatore italiano ha già vietato “gli incentivi” per la consulenza finanziaria indipendente e li prevede, invece, per l’attività di consulenza finanziaria. Il nostro legislatore pare aver già anticipato e tracciato la strada per la finanza europea. Questo approccio normativo è quanto di più semplice e lucido si potesse scegliere. Dal nostro punto di vista, l’obbligo di non prendere soldi dall’industria finanziaria è gradito e coerente con il nostro ruolo; ci pare, altresì, che la consulenza finanziaria possa essere offerta, anche in conflitto di interessi e quindi con un mix di parcella e provvigioni/stipendi da altri attori della comunità finanziaria. Crediamo nel mercato. Sarà il risparmiatore a decidere se affidarsi ad un consulente puro, quindi indipendente, oppure ad un consulente in conflitto di interessi. Anche il Popolo dovrà compiere i suoi sforzi per emanciparsi, in finanza e non solo. di Giannina Puddu, presidente Assofinance

Tweet
Pin It
Commenta (0 Commenti)

Trichet parla di crisi sistemica. Salvare gli stati o le banche?

  • Stampa
Pubblicato: 17 Ottobre 2011
Visite: 1211

di Mario Lettieri, Sottosegretario dell'Economia nel governo Prodi e Paolo Raimondi, economista
 
“La crisi ha raggiunto una dimensione sistemica”. Con queste drammatiche parole il presidente della Banca Centrale Europea Jean-Claude Trichet ha iniziato la sua relazione sulla situazione finanziaria e debitoria dell’eurozona al Comitato per gli Affari Economici e Monetari del Parlamento europeo a Bruxelles. Parlava anche come chairman dell’European Systemic Risk Board, il gruppo di lavoro recentemente creato sul rischio sistemico in Europa.
 
Il governatore ha dipinto un quadro pieno di mostri come quelli del “Sonno della ragione”di Francisco Goya. Ha descritto l’intreccio letale tra la crisi del debito sovrano e il sistema delle banche e delle borse soprattutto nel vecchio continente.
 
Dopo tre anni si ritorna ad ammettere che al centro di un nuovo “sisma” vi sono le banche troppo esposte con i titoli pubblici dei paesi in difficoltà come la Grecia. 
 
La loro situazione è aggravata dalla quasi totale paralisi dei meccanismi di credito interbancario. 
Invece di prestarsi soldi tra di loro, le banche infatti preferiscono depositarli presso la Bce. L’ammontare attualmente parcheggiato è di circa 270 miliardi di euro. Di conseguenza rubinetti del credito, da tempo già chiusi per gli imprenditori e le famiglie, adesso lo sono anche nei confronti delle stesse banche.
 
Trichet ha denunciato i rischi insiti nei prodotti innovativi, i derivati finanziari, che sono tornati a crescere alla grande anche nelle banche europee. Alcuni asset-backed securities (Abs) sono tanto complessi da non essere compresi nemmeno dai grandi investitori istituzionali. Figuriamoci dai singoli cittadini!
 
In pratica siamo di fronte ad una nuova crisi bancaria simile a quella del 2007-08.  Però questa volta soprattutto in Europa. Oggi al centro delle discussioni e delle decisioni anche della Commissione europea vi sono perciò le capitalizzazioni delle banche. Per aumentare il capitale primario (azioni e riserve di bilancio) delle banche europee, il cosiddetto Core Tier 1, dall’attuale 5% al 7% e a oltre il 9% per le più grandi, ci vorrebbero tra i 100 e i 250 miliardi di euro. 
 
Somme rilevanti, tanto che Trichet ha ventilato “la possibilità che l’European Financial Stability Facility (Efsf, cioè il fondo salva-stati) conceda dei prestiti ai governi per aiutare la capitalizzazione delle banche”!
 
Si vorrebbe quindi trasformare il fondo salva-stati in un salvagente delle banche private e non degli stati a rischio di default.
 
Sarebbe una iattura e sicuramente sarebbe molto difficile far accettare tale decisione dai cittadini europei, siano essi lavoratori o piccoli imprenditori. 
 
Come noto l’Efsf conta 440 miliardi di euro. Si tratta di un contributo notevole per tutti i paesi europei impegnati a stabilizzare le situazioni economiche più instabili del continente. Sono soldi che escono dai bilanci dei singoli stati. Non sono stampati e creati dal nulla come spesso ha fatto la Federal Reserve americana. Sono fondi, quindi, sottratti ad altri capitoli di spesa, come quelli per i trasporti, per la sanità, per l’istruzione e al sostegno della crescita e al welfare. 
 
Si consideri che già oggi i sacrifici richiesti con tagli e manovre finanziarie, imposti dagli obblighi comunitari di riduzione del deficit e del debito pubblico, sono tanti. Perciò i cittadini non potrebbero accettare che i loro sacrifici servano a salvare le banche. Tale ricetta porterebbe inevitabilmente ad una diffusa esplosione sociale. Non solo degli indignados.
 
Fin dall’inizio della crisi noi sostenevamo la necessità di regole stringenti per il sistema bancario e finanziario globale. Invece tutto è continuato come prima, nonostante i tanti vertici internazionali. Ancora gli stessi titoli tossici, la stessa opacità dei mercati, le stesse banche-ombra, gli stessi rischi, gli stessi bonus. Perché non si è intervenuti sulle cause. Si continua a gridare al pericolo ma si vorrebbe aiutare il lupo!
 
Molti chiedono un dicastero europeo per l’economia. E’ giusto. Ma è un processo complesso e rischia di venire alla luce troppo tardi. Ora si potrebbe pensare da subito a un Ministero europeo per la “difesa economica” con pochi e precisi compiti, quali la difesa dalla speculazione e la stabilizzazione dei debiti sovrani. Basterebbe imporre un adeguato deposito di garanzia per le operazioni finanziarie rischiose, per quelle allo scoperto e non collegate alla realtà economica per mettere fuori gioco la speculazione. La Merkel propose simili misure oltre un  anno fa. In una recente conferenza internazionale svoltasi nell’isola ellenica di Rodi, cui gli autori hanno partecipato, anche qualche banchiere illuminato ha sostenuto la stessa urgenza.
 
Tweet
Pin It
Commenta (0 Commenti)

Pagina 122 di 124

  • 115
  • 116
  • 117
  • 118
  • 119
  • ...
  • 121
  • 122
  • 123
  • 124
  • Sei qui:  
  • Home

Newsletter

Ricevi le novità di ifanews.it, iscriviti alla nostra newsletter!

Abilita il javascript per inviare questo modulo

https://www.ifanews.it/storico.html


Puddu-Pogliaghi Editori s.r.l. | Sede sociale: Viale Brianza, 20 - 20127 Milano, iscritta al Registro delle Imprese di Milano.

Numero di iscrizione all’elenco dei periodici 499 del 5 ottobre 2011 / P.IVA 07532400962 / Privacy Policy

RACCOLTA PUBBLICITARIA: scrivere per avere un preventivo a: pubblicita@ifanews.it

Copyright © 2021 ifanews - P.P.E. SRL Tutti i diritti riservati. 

Torna su

© 2021 ifanews