La finta storia dell`Islanda ribelle

Alle volte è bello limitarsi a credere alle favole. Tipo quella di un paese che si ribella a un default finanziario rinnegando così il peso sociale dello stesso. E` un po` questa la frottola che è stata assorbita dall`opinione pubblica in merito all`ormai celebrato `default controllato` islandese del 2008. In realtà un rifiuto da parte della popolazione islandese c`è stato, ma di certo non ha riguardato le `responsabilità` di ripianamento dei debiti interni. Per capire meglio una vicenda che è stata, forse ingenuamente, portata alla ribalta nei termini non corretti, riportiamo un interessante approfondimento tratto dal sito Phastidio.net. Se poi vorrete ancora credere alle favole, noi non ve ne faremo di certo colpa. Alle volte servono proprio.

La finta storia dell`Islanda ribelle

PREMESSA

Un post di Thorolfur Matthiasson (docente di economia all’università di Reykjavik) e Sigrun Davidsdottir (giornalista economica islandese basata a Londra), comparso su Economonitor, tenta di fare luce sui costi effettivamente sostenuti dai contribuenti islandesi nell’operazione di salvataggio delle banche del paese, dopo il gravissimo dissesto del 2008. Al di là di alcune ipotesi di stima, che per definizione sono soggettive, quello che emerge è che il salvataggio del sistema finanziario islandese è stato estremamente costoso, per un’unica, semplice, enorme verità: nessuno può permettersi di lasciar fallire le banche, e per quanto ci si possa sforzare di rendere le stesse responsabili della loro condotta, al momento dirimente del dissesto paga Pantalone, ed i cocci restano suoi.

Il post si apre con l’ennesima spiegazione di quello che è realmente accaduto ad IceSave, la controllata online della banca islandese Landsbanki, la cui vicenda ha (misteriosamente) plasmato la percezione della presunta “ribellione” islandese contro il debito, percezione da qualcuno in Italia poi bizzarramente declinata nello stralunato concetto di “default sovrano controllato”. Come ben sa chi legge questo sito, in Islanda non è avvenuto nessun “default sovrano controllato”, e le informazioni aggiuntive fornite da Matthiasson e Davidsdottir ci permettono di capire quanto è realmente costato ai contribuenti islandesi il dissesto del sistema creditizio del paese.

Su IceSave, andiamo rapidi: era una controllata online di Landsbanki, operante in Olanda e Regno Unito. Trattandosi di una branch e non di una subsidiary (per la distinzione tra i due concetti leggi qui), essa era regolata dallo schema di assicurazione sui depositi islandesi. Quando IceSave è saltata, i governi olandese e britannico hanno protetto i depositi dei propri connazionali in IceSave, anche per evitare una disastrosa e generalizzata corsa agli sportelli. Poiché l’assicurazione islandese sui depositi copriva solo una esile frazione del valore dei depositi, venne deciso che l’Islanda avrebbe dovuto indennizzare i due governi della Ue, mettendo la differenza rispetto a quanto recuperato dall’attivo residuo della fallita Landsbanki. In due successivi referendum, la popolazione islandese ha rigettato tale ipotesi di “conguaglio”.

LA SENTENZA DI IERI

La corte dell’EFTA (Area Europea di Libero Scambio) ha sentenziato questa mattina che l’Islanda non ha violato la direttiva comunitaria di garanzia sui depositi, e che non ha discriminato tra protezione di propri depositanti e quelli olandesi e britannici, clienti della banca Icesave, controllata dalla islandese Landsbanki. La sentenza della corte dell’EFTA è molto importante, perché segna una importante vittoria per il popolo islandese. Ma l’analisi dei fatti mostra che altre interpretazioni della vicenda, soprattutto quelle provenienti dal disgraziato paese di analfabeti economici e demagoghi noto col nome di Italia, sono destituite di ogni fondamento.

In sintesi, Olanda e Regno Unito chiedevano l’indennizzo dei propri depositanti secondo la nuova direttiva comunitaria di assicurazione dei depositi, entrata in vigore nel 2009 e che prevede, in caso di default di una banca, che i depositanti vengano indennizzati fino all’importo massimo di 100.000 euro. La corte dell’EFTA ha stabilito, per contro, che la copertura dei depositi per i depositanti Icesave olandesi e britannici dovesse essere quella (inferiore) vigente nei due paesi al momento del crack, ritenendo non applicabile la soglia massima dei 100.00o euro a causa del devastante impatto sui conti pubblici islandesi che l’applicazione di questa direttiva avrebbe avuto.

Come riporta il Ft (qui la sentenza della corte EFTA), occorre una specifica investigazione per capire l’effettiva applicabilità della nuova direttiva a casi di dissesto bancario di grande entità, cioè in cui le banche fallite rappresentino un multiplo del Pil del paese di provenienza. “Tuttavia…la (nuova) direttiva non si applica al presente caso“. Un esercizio di realismo, sembrerebbe. Ma l’Islanda ed i suoi cittadini hanno vinto, e questo è quello che conta.

Altra cosa che conta, e che apprendiamo dal caso, è che il governo islandese ha visto riconosciute le proprie ragioni sulla base dell’argomentazione di non aver discriminato tra depositanti domestici (i propri connazionali) e quelli olandesi e britannici, ai quali ha deciso di riconoscere indennizzi pari alla soglia di assicurazione sui depositi vigente nei due paesi al momento del crack. Non solo: il governo di Reykjavík ha comunicato di aver sinora corrisposto ai depositanti esteri di Icesave una somma pari a 585 miliardi di corone (equivalenti a 4,55 miliardi di dollari) su un totale richiesto (ma a questo punto non più dovuto) di 1.166 miliardi di corone. L’importo finora erogato è pari al 90 (novanta) per cento di quanto spettante ad olandesi e britannici, in base alla garanzia che i due governi avevano assicurato all’epoca ai propri depositanti domestici. Il restante dieci per cento verrà erogato in futuro, attraverso le operazioni di realizzo dell’attivo netto della defunta Landsbanki. E se non vi sarà capienza, saranno i contribuenti islandesi a pagare il giusto dovuto, come del resto fatto sinora.

Quindi, riepilogando, ad uso degli italiani:

- l’Islanda non ha ripudiato il proprio debito pubblico verso non residenti;
- Il dissesto era relativo alla controllata estera di una banca privata islandese andata fallita;
- I governi dei paesi che ospitavano tale controllata avevano chiesto all’Islanda di essere indennizzati in base alla nuova direttiva europea, cioè per 100.000 euro a cranio di depositante;
- Il governo islandese ha indennizzato i depositanti esteri usando le leggi locali all’epoca vigenti, ed ha visto riconosciute le proprie ragioni da una sentenza della corte dell’EFTA;
- I contribuenti islandesi hanno pagato e stanno pagando per onorare i debiti di Icesave. Pagano il giusto (secondo l’EFTA), ma pagano;
- …e stanno pesantemente pagando anche per la nazionalizzazione del proprio sistema bancario fallito. Com’è che era? , “Il vostro debito non lo paghiamo”?

Non c’è e non c’è mai stato alcun default sovrano, nella condotta di Reykjavík, ma solo la grande dignità di un popolo che ha rispettato le leggi del tempo, la propria e le altrui.

Dopo questo episodio e queste informazioni aggiuntive, c’è speranza a casa nostra di non sentire o leggere mai più idiozie provenienti da grilli parlanti, tribuni arancioni affabulatori della plebe ed economiste stridule? No, vero?

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