L`EURO: problema od opportunità? Parte prima

Debbo dire che non volevo mandare altro materiale per oggi. Ma l’attualità della proposta di alcuni economisti in questo week end circa l’Euro ed i suoi partecipanti impone una riflessione tempestiva.

L`EURO: problema od opportunità? Parte prima

Prima di inviarvi i dati relativi alla proposta avanzata mi sembra opportuno inviarvi a rileggere quanto inviato il 2 di gennaio.

Nonostante siano molti i miei detrattori, sono stati moltissimi quelli che hanno richiesto di iscriversi a questa rubrica negli ultimi mesi e quindi non hanno avuto modo di ricevere questo lavoro.

Pensate, ogni variabile analizzata il 2 di gennaio 2013 ha dato dati successivi peggiori di quelli a suo tempo elencati, mentre, al contrario, i mercati finanziari, probabilmente basandosi su Topolino o Novella 2000, hanno proseguito la loro corsa verso il nulla.

Partiamo allora da questa lettura per poi commentare le nuove proposte.

Buona lettura.

Gian Luca Bocchi

Carissimo Stefano buon anno, confidando che sia migliore di quello trascorso per lo meno per quanto riguarda la nostra capacità di leggere i mercati finanziari.

Si è chiusa infatti una fase che da agosto in poi ha visto i mercati finanziari prendere la direzione opposta a quella favorevole alle nostre scelte d’investimento.

Ma purtroppo, come direbbero a Roma, noi siamo “de coccio” e non vogliamo rinunciare ad alcune cose.

La prima è portare avanti la professione in maniera libera ed indipendente, sia per quanto concerne l’analisi che le scelte d’investimento.

La seconda è di proseguire nell’opera di divulgazione delle nostre idee ritenendo che il nostro lettore possa non dico salvare i risparmi di una vita ma per lo meno aver riflettuto con grande attenzione sulle variabili in gioco sia come cittadino, per meglio valutare l’operato di chi ci governa a livello nazionale ed europeo, sia come investitore,  per decidere quale portafoglio costruire.

La terza per ovviamente farci un po’ di pubblicità essendo noi molto piccoli ed artigianali ed essendo il nostro un settore governato dalla relazione

Per cui ti invito a leggere con grande attenzione il lavoro oggi predisposto: so che sarà una lettura lunga ed impegnativa ma qualsiasi valutazione di portafoglio e conseguenti decisioni dovessi prendere  passano dalla consapevolezza non dall’emotività, dalla calma non dalla fretta, dall’analisi personale non dal condizionamento mediatico.

Dedica allora per favore i venti minuti necessari alla sua lettura.

Documento redatto il 02 gennaio 2012

PREMESSA

L’investitore razionale dovrebbe valutare la CRESCITA prima di allocare le proprie risorse ?

E’ mia opinione di sì, che bisognerebbe investire nelle attività il cui sottostante crescerà.

I dati sulla crescita attesa che ci vengono forniti sono attendibili ? O piuttosto risentono di altri fattori (aspettative, utilizzo dei dati per comunicare con la popolazione mondiale, errori di stima, ecc., ecc.) ?

Essi possono cambiare repentinamente, anche solo nell’arco di un semestre ?

Partiamo allora dalla prima tavola, costruita riportando le stime di crescita relative a paesi e aree geografiche significative a livello mondiale. I dati provengono dal Fondo Monetario Internazionale, forse il più importante ufficio studi a livello internazionale.

La tabella sottostante riporta i dati da loro pubblicati  in 3 diversi momenti: in neretto i dati del bollettino sull’economia mondiale (World Outlook) dell’ottobre 2011, in rosso quelli di aprile 2012 ed in verde i dati pubblicati in ottobre 2012, gli ultimi disponibili .


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Se prendiamo come esempio le previsioni del FMI relative al nostro paese per il 2012 possiamo veirifcare immediatamente che ad ottobre 2011 l’economia italiana era attesa crescere dell’1,3% durante l’anno successivo. Solo 6 mesi dopo il dato scendeva a - 1,9 % (dato in rosso) per poi dimuire nuovamente fino a - 2,3 % (in verdino), ultimo dato noto. La variazione complessiva è amplissima; ben 3,6 punti percentuali solo per l’anno successivo. Se controlliamo poi paese per paese, o area geografica per area geografica verificheremo che tutti i numeri sperimentano un calo più o meno ampio, ma comunque molto significativo.

Ne consegue  che sarebbe cosa saggia non basarsi solamente su previsioni e piuttosto provare ad utilizzare la propria personale intelligenza. E non è tutto. Se guardassimo il mero comportamento dei  mercati finanziari nel 2012 ( in particolare dal mese di agosto in poi) constateremmo che in questa fase sono prepotentemente tornati in auge gli acquisti sulle classi di investimento più rischiose e più legate alla crescita. Sembrerebbe quasi che la crisi sia un argomento “veccho”, un episodio del passato fortunatamente superato grazie agli interventi dei governi e delle banche centrali. Proprio poichè i mercati ci stanno comunicando false infomazioni (la crisi dell’economia reale è peggiorata, e la finanza ha nuovamente prevalso sull’economia),  forse sarebbe meglio utilizzare la propria capacità di indagine e di indipendenza mentale. Per un attimo quindi non prendiamo in considerazione i dati proposti dalle grande istituzioni od i prezzi, leggiamo il materiale proposto e solo a fine lettura domandiamoci: ma da dove può venire la crescita ?

LA CRESCITA

Ci sono i fatti e le opinioni.

E’ un fatto che l’economia classica ci descriva da cosa dipenda la crescita. Non abbiamo in questo senso bisogno di nessuna interpretazione. Essa è uguale a: consumi più investimenti privati più spesa pubblica più esportazioni nette. E ciò vale per qualsiasi paese od area geografica. Le differenze consisteranno semmai nella diversa incidenza delle singole variabili.

Partiamo dai consumi. Per comprendere da cosa dipendano partiamo da questa tavola: la capacità di spesa  che un’unità familiare, o un consumatore, ha a sua disposizione dipende da numerose variabili: quanto guadagna, quanto valgono le sue ricchezze (in termini mobiliari ed immobiliari), quanto è stabile la propira occupazione, quanto è necessario risparmiare per il futuro dei figli e della propria vecchaia, quanto debito dobbiamo ripagare e quanto credito possiamo chiedere.

Se pensiamo a questi ultimi anni e guardiamo per esempio all’occupazione, possiamo constatare che in America, dove la disoccupazione si sta lentissimamente riassorbendo (mentre in Europa per esempio è ancora in rialzo) vediamo che comunque siamo a livelli di riassorbimento lentissimi rispetto alle passate recessioni. Osserviamo il grafico e vediamo che dal 2007 ad oggi siamo ancora a metà strada nel recupero dei posti di lavoro, nonostante siano passati 60 mesi, oltre il doppio del tempo in cui nel passato si era già tornati ai livelli pre-crisi. E questo nonostante gli sforzi immani effettuati sia dall’amministrazione in termini di sgravi fiscali, sia dalla Fed in termini di politica monetaria. Ricordiamo che in Europa invece tutto questo non sta avvenendo: le autorità di governo praticano una politica opposta, quella dell’austerity, e la BCE non stampa denaro (anche se alle banche ne ha prestato molto). 


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In questa tavola sono riportati gli 11 periodi in cui abbiamo assistito ad una recessione nel dopo guerra. Per ognuno dei periodi sono stati conteggiati i mesi necessari affinchè il livello di occupazione tornasse al livello pre crisi. Il dato di questa fase, l’ultimo sulla destra in rosso non è opinabile: ci vorrà ancora parecchio tempo prima che la crescita possa riassorbire l’occupazione e quindi permettersi una miglior dinamica dei consumi. Per quanto riguarda il nostro paese poi, e anche l’Europa in generale, ognuno di noi poi si può fare un’idea personale circa le sorti in tema di occupazione per quest’anno: miglioreranno ? resteranno stazionarie ? Peggioreranno ? Basta avere qualche amico ed ascoltare i suoi racconti.

La tabella sui consumi ci evidenziava poi la componente mobiliare, in poche parole le borse. L’impatto delle borse (ed anche della casa) non si limita ad un mero aspetto contabile ma ha una valenza anche psicologica. Farò l’esempio sulla casa che è più semplice ma chiaramente varrà anche per il singolo titolo azionario. Mettiamo di aver acquistato una casa nel 2000 e che essa valesse 200.000 Euro. Nel 2007 il suo valore era diventato 400.000. E’ la mia unica casa. In quel momento se la vendessi (ma non lo farò perché è l’unica) realizzerei una grande plusvalenza. L’effetto psicologico ( detto anche effetto ricchezza) sarà di sentirmi più ricco, consumare di più ed in maniera persino sproporzionata alle mie reali possibilità economiche come se l’avessi venduta. Tipico è in questo caso l’errore che si compie nella permuta con aumento di metri quadri dove le famiglie arrivano al limite delle proprie capicità reddituali confidando che il rialzo del settore immobiliare possa proseguire per sempre, condannandosi ad una vita di sacrifici futuri al primo sboom.

Facciamo ora l’esempio contrario che vale per molti e cioè tutti quelli che hanno acquistato casa in piena bolla, nel biennio 2006 – 2008. Facciamo che abbiano pagato l’immobile 400.000 Euro e che oggi abbiano offerte in caso di necessità di realizzo per soli 300.000 Euro. Ovviamente nessuno di loro si sognerà di vendere la propria casa ma l’effetto psicologico che si genererà sarà quello di “sentirsi più poveri” e con esso aumenterà la quota destinata al risparmio a danno dei consumi e degli investimenti. In poche parole, guardando ai due esempi, in nessun caso si è realizzato un guadagno od una perdita ma in entrambi i casi l’investitore si comporterà come se essi fossero avvenuti.

Ciò vale anche per i mercati mobiliari. Anzi vale ancora di più perché sono investimenti facilmente liquidabili a differenza dell’immobile che come ben sappiamo è l’investimento più illiquido possibile quando non c’è domanda. Guardando ai listini, specie quello nazionale, ricordo alcuni dati importanti. Il FtseMib valeva 50.000 punti circa di massimo nel marzo 2000. Dopo essere passato da 23.000 punti circa a marzo 2003 e poi risalito a 40.000 punti circa tra la fine del 2006 e l’inizio del 2007. A marzo 2009 lo ritroviamo in area 12.000, mentre il rimbalzo successivo lo porta a quasi 25.000 ad ottobre 2010. Nuovi minimi in area 12.500 ad agosto 2012 per poi toccare i 16.500 di questi giorni. Nell’ultimo anno solare è partito da 15.500 per chiudere a 16.500 dopo essere passato da 12.500.

Parlo soprattutto del nostro indice perché vedo risparmiatori tutti i giorni. Il portafoglio dell’inestitore italiano è tutt’ora esposto alla nostra borsa per almeno l’80 % (come è logico che sia) e trovo quindi corretto, parlando di crescita, chiedermi: ma la crescita potrà venire da un importante rialzo di Piazza Affari ? E’ da questa che gli investitori – risparmiatori troveranno le risorse per incrementare i propri consumi ed i propri investimenti ?

Ma torniamo alla nostra tavola ed al settore immobiliare. Spero che ormai, dopo tutti questi anni e dopo averlo annunciato primi fra tutti, sia chiaro che l’immobiliare è servito ad hoc per creare questa immane bolla di carta, sfruttando il luogo comune che la casa rende sempre. Guardiamo allora a che punto è la situazione negli Stati Uniti, paese madre della bolla.

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Le colonne in azzurro riportano i momenti di recessione dagli anni 60 e la loro durata. La linea marcata rossa riporta invece il numero di vendite di nuove case. Questo dato viene scelto in quanto è tra gli indicatori più significativi circa la domanda di immobili.

Anche qui dobbiamo porci la solita domanda: la crescita verrà dal settore immobiliare ?

In molti commentatori hanno evidenziato che il settore immobiliare americano ha toccato il fondo: sono gli stessi che l’avevano sostenuto sia durante la rovinosa caduta partita dal 2006 (chi non ricorda le carovane di oculati investitori italiani che nel 2007 – 2008 corserò ad acquistare un’abitazione per investimento a New York al grido: è un affare sicuro ?), sia quelli che l’hanno sostenuto a marzo 2009, a gennaio 2010, a gennaio 2011. Certamente un “rimbalzo” c’è stato ma credo sia più utile ai fini del nostro quesito sulla crescita fare un esempio algebrico.

Mettiamo di avere acquistato un bene a 100 lire. Mettiamo che questo bene vada a 20. Nel momento che il bene tornasse a 25 sarebbe salito del 25 %. In molti sosterrebbero: hai visto come è salito ? Peccato che la gran parte degli acquirenti lo detengano avendolo acquistato a 100 lire. So che è un esempio tipicamente borsistico e forse non perfettamente calzante, ma ai fini della nostra indagine dobbiamo provare a capire quali variabili possano impattare sul conto economico della maggior parte della popolazione o comunque possano incidere in ottica economica generale.


Qualcuno a questo punto potrebbe ritenere che l’osservare gli Stati Uniti sia insufficiente. Passiamo allora parzialmente alla cara vecchia Europa guardando ad uno dei paesi che più hanno vissuto la bolla immobiliare: la Spagna. Lo facciamo con una tabella che ci consentirà di correlarci al sistema bancario.

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Come abbiamo visto nella seconda tabella, la crescita potrebbe anche avvenire grazie ad un maggior finanziamento verso i cittadini da parte del sistema bancario al fine di alimentarne la vocazione al consumo ed agli investimenti.

Questa è una tabella specifica per la Spagna ma che ci da una tendenza di quanto accaduto nel mondo, dall’Europa agli Stati Uniti. Essa mette in relazione (linea blu) il decremento percentuale annuo dei prezzi degli immobili con l’incremento (linea rossa) delle sofferenze bancarie. In poche parole quello che si è verificato é che al diminuire del valore degli immobili è peggiorata la situazione finanziaria degli istituti di credito che hanno fatto profitti molto elevati durante il boom fino al 2006-2007 ed ora si ritrovano una percentuale di crediti in sofferenza sempre più elevata, poiché hanno prestato denaro soprattutto a progetti di investimento immobiliare residenziale e commerciale per i quali oggi non c’è mercato e non c’è futuro. Il volano della crescita è ora zavorra che trascina a fondo i blanci bancari non più in grado di alimentare anche quelle poche aziende  e quei pochi settori ancori sani che potrebbero sostenere la crescita.

Esiste quindi la possibilità che il settore finanziario possa erogare credito a imprese e famiglie, di modo che i loro investimenti e consumi riescano a permettere un minimo di crescita?

Così non parrebbe, almeno guardando il prossimo grafico.

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Questa illustrazione mette un luce un aspetto particolarmente preoccupante che ben si raccorda alla precedente.

Da un lato viene evidenziata la grandezza M3, cioè il dato che rappresenta gli aggregati monetari che possono svolgere le stesse funzioni della moneta nella sua versione più estesa e che in maniera imprecisa ma semplice potremmo dire che rappresenta l’offerta di moneta immessa nel sistema dalla BCE, e dall’altro sono raffigurati  i prestiti che poi le banche concedono al settore privato (imprese e privati).

Come possiamo notare, è il sistema finanziario steso che alimenta la bolla fino al suo scoppio, addirittura dal 2005 prestando più di quello che è la liquidità ricevuta. Ho sempre in mente un esempio, la pubblicità di Banca Intesa circa i mutui per le giovani coppie. Si vedeva una coppia che entrava in banca solo con la tazza del bagno e la pubblicità diceva che sarebbe bastata quella per realizzare il proprio sogno perché il resto lo avrebbe prestato la banca !

Poi con lo scoppio della bolla e con le difficoltà di generare liquidità, bene o male , le banche concedono ai privati quello che ottengono.

Ma dalla metà del 2011, quando si diceva che “le banche erano tutte saltate”, per una questione di sopravvivenza propria dapprima, e per salvare gli Stati poi acquistandone il debito pubblico (specie degli Europeriferici), le banche non finanziano più il settore privato.

Tornando alla nostra originaria  domanda quindi ( ovvero da dove può provenire la crescita?) , anche questo fattore pare incidere negativamente – anzi molto negativamente-  sulle possibilità di espansione dell’economia. Addirittura ci trasmette ancora di più l’immenso valore che ha oggi la liquidità e soprattutto di come è impiegato quel trilione di euro che la BCE ha prestato alle banche per 3 anni, pregandole di far arrivare all’economia alemo parte di quel flusso di denaro. Una preghiera che i dati ci dimostrano totalmente inascoltata.

Per concludere questa parte dedicata a consumi ed investimenti privati, vi propongo una tavola sulla ricchezza della famiglia italiana, pubblicata dalla stessa Banca d’Italia.

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Essa rappresenta la ricchezza delle famiglie in misura aggregata. Cosa vuol dire aggregata: tutta insieme. Abbiamo già avuto modo di vedere che se io ho 4 case e tre miei amici non ne hanno nessuna, per questa tabella noi 4 abbiamo 4 case ( non importa se poi sono tutte mie). Quindi la premessa a questo grafico è che qualcuno potrebbe avere dieci proprietà e molti altri nessuna.

Come sappiamo l’italiano medio ha una grande passione per la casa. Osservando il dato sulla ricchezza noteremo che le attività reali sono l’investimento principe ed in esse le abitazioni. Questo tipo di distribuzione di pesi percentuali mi fa riflettere su alcune cose. La prima è che l’impatto negativo della borsa sia meno importante dell’impatto negativo del prezzo degli immobili. La seconda è che domandondosi da dove possa venire la crescita, si deduce che per il paese nel suo complesso sarebbe più utile un innalzamento dei valori del settore immobiliare che non di altre iniziative.  Sempre che le proprietà siano abbastanza distribuite ( ed io su questo ho parecchi dubbi). Ma come siamo messi sul settore?

Negli ultimi dieci anni di certo non abbiamo vissuto una bolla né stile Usa od Inghilterra, nè tipo Spagna ed Irlanda. Ma tutti noi sappiamo quanto sia salito il valore degli immobili, specie nelle grandi città, specie nelle zone centrali e semi centrali, in questi 10-15 anni. E’ ovvio che non possano tenere i valori degli anni precedenti per tutta una serie di fattori, principale quello demografico: siamo un paese vecchio, che non fa figli se si escludono gli extracomunitari, che non possono di certo più di tanto incidere sulla domanda abitativa. I dati ufficiosi parlano di più del 70 % di possessori prima casa. In questo contesto, e da molti anni per la verità, viene meno la “domanda” naturale per il settore, quella abitativa, quella della prima casa. La domanda che verrebbe naturale proprio da quelle giovani nuove coppie e famiglie su cui la crisi sembra pesare di più. Il settore si trova quindi ad essere condizionato solo dalla domanda per investimenti, anche qui già satura per definizione ed inoltre necessariamente meno appetibile per difficoltà di ricorso al credito, IMU, tasse sul patrimonio, difficoltà ad essere pagati dagli affittuari (che ovviamente aumenteranno), ecc., ecc.

Nell’ultimo anno abbiamo già assistito ad un calo delle transazioni del 40 % e dei prezzi di circa il 10 %. E’ lecito attendersi nei prossimi un’ulteriore correzione che possa far avvicinare domanda ed offerta per lo meno della stessa percentuale. Senza voler dimenticare un aspetto importante: la verità è che se oggi dovessi aver bisogno di denaro perché sono rimasto senza lavoro, perché voglio aiutare mio figlio, perché sono ammalato e debbo curarmi, e volessi alienare il mio appartamento non sarebbe solo un problema di prezzo ma di compratore. Lo ripeto: non c’è bene più illiquido di una casa quando il mercato corregge i suoi eccessi. Molti vorrebbero vendere ma pochi possono permettersi di comprare e quindi calano i prezzi e soprattutto si allungano i tempi per la negoziazione.

Se dovessimo quindi guardare al nostro paese, a come è allocata la sua ricchezza e ad individuare da dove possa venire la crescita, non ci rimane che sperare nelle altre voci: spesa pubblica ed esportazioni nette.

Quando si passa alla spesa pubblica dobbiamo sempre pensare alla nostra famiglia od ad una vacanza con gli amici, quando si organizza la “cassa comune”.

In poche parole, quando uno stato affronta un momento di difficoltà in termini crescita proveniente dal settore privato ricorre normalmente al settore pubblico. Lo stato in questione aprirà i cordoni della propria borsa facendo partire una serie di iniziative che genereranno lavoro per i cittadini ed appalti per le imprese private alimentando in termini positivi le variabili che abbiamo prima evidenziato.

Ma come stanno le casse pubbliche in Italia ? In Europa ? Negli Stati Uniti (che non dimentichiamolo sotto il profilo dei consumi incidono ancora oggi per il 20 % - 25 % dei consumi mondiali) ? Ed a livello di sistema, in generale, possiamo ancora indebitarci per sostenere la crescita ?

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La prima tavola che mi ha colpito è relativa alla consistenza del debito pubblico dei paesi europei. Non è un dato pro capite ma di totale del debito. Non ricordavo infatti che la Germania fosse così indebitata (anche se loro sono circa 90 milioni e crescono - seppur pochissimo - e noi siamo 60 milioni e abbiamo un PIL in calo). L’osservazione di questa tavola mi ha ricordato perché sono stato convinto che l’Euro fosse una buona opportunità mentre oggi penso che sia una prigione per gli Europeriferici. Volendo semplificare al massimo l’accordo sottostante alla nascita dell’Euro, esso fu più o meno così: la Germania condivise la propria credibilità, permettendo agli Europeriferici di indebitarsi progressivamente alle sue condizioni di tasso e gli Europeriferici rinunciarono alle svalutazioni competitive, al controllo del cambio accentrandolo alla BCE. Questo accordo avrebbe consentito agli Europeriferici ed al nostro paese di risparmiare in quota interessi che avrebbe determinato un minor debito pubblico che avrebbe generato una minor quota interessi che avrebbe ridotto il debito pubblico e via così. Sarebbe stato come mettere via un “pezzo” di spesa pubblica da utilizzare nei momenti di crisi. Infatti nel passato, a fronte di una della varie crisi economiche che si sono alternate negli anni, l’unica alternativa era sempre stata quella di svalutare la propria divisa.

Svalutare significava molte cose. Di base significava rendere più care le merci importate e meno care le proprie esportazioni. Le aziende italiane di colpo vendevano più di più all’estero ma anche nel nostro paese, perché il consumatore tornava a preferire merci prodotte in loco divenute post svalutazione più convenienti (per fare un esempio, è anche per quello avevamo tutti una FIAT). Chiaramente alcune merci non si potevano non acquistare, come ad esempio il petrolio, e pagavamo il dazio (ma non sempre) di dover sostenere un’inflazione più elevata. Anche se essa finiva per non essere poi così un brutto male perché normalmente dipendenti e pensionati venivano protetti agganciando stipendi e pensioni al suo andamento. Oggi per esempio accade il contrario che l’inflazione non c’è ma dipendenti e pensionati perdono costantemente potere d’acquisto. La Germania e molti “Euroforti” da sempre hanno esportato molto verso gli Europeriferici. Ad ogni svalutazione ovviamente regalavamo loro difficoltà economiche che andavano compensate all’interno del loro paese con una maggior spesa pubblica.

Quindi l’ingresso nell’Euro ci ha consentito di avere maggior spesa pubblica “potenziale” da utilizzare nei momenti di crisi. Oggi la possiamo usare ? E’ disponibile ? Possiamo pensare la nostra crescita dipenda dalla spesa pubblica ?

Purtroppo non ci sono spazi per le opinioni. La spesa pubblica “potenziale” è stata già consumata. L’ultimo anno di governo Monti ha imposto molte regole ma la principale è la Spending Review, cioè il taglio della spesa pubblica, sia in termini di posti di lavoro che di interventi dello Stato. Non ci sono dubbi, almeno per questa componente: la crescita nel nostro paese NON dipenderà dalla spesa pubblica. In Europa vige la politica dell’Austerity che cozza contro le possibilià di crescita perché per spendere bisogna INVESTIRE ovvero SPENDERE prima per raccogliere i frutti poi, sempre che si sia investito e speso bene.

Ma non ci sono dubbi neanche per i paesi Europeriferici, a partire dalla Grecia che ormai è chiaro che finchè rimarrà nell’Euro non tornerà a crescere. Nonostante i grandi sforzi in termini di spending review anche il Portogallo sembra avvitato in una mortale spirale recessiva, dimostrando che seguire completamente i dettami della BCE in termini di tagli alla spesa non porta miglioramenti né in termini di crescita, né di altro.

Ma vediamo come è messo il mondo in termini di indebitamento per comprendere se qualcuno possa ancora far ricorso al debito per crescere.

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Questa tavola somma al debito pubblico dei paesi analizzati il debito privato e lo misura in termini percentuale sul PIL. Ogni volta che la osservo mi viene male e mi viene ancor più male osservando il comportamento dei listini azionari che “comprano” una crescita tuttora finanziata dal debito che presto o tardi presenterà un conto ancor più salato di quanto sarebbe stato se fin dal 2008 avessimo realmente affrontato il problema e non lo avessimo continuamente spostato in là nel tempo.

Tra l’altro il nostro paese ne esce messo meglio del previsto perché come sappiamo pur non crescendo e pur avendo un debito pubblico tra i più consistenti ha una quota di debito privato tra le più contenute.

In ultimo un accenno al debito pubblico USA, visto che in questi giorni il Fiscal Cliff è argomento da prima pagina. Mi pare presto per esprimere un commento. Voglio solo fornire dei dati circa l’ammontare del debito pubblico americano in modo tale che ognuno ci possa riflettere con la propria testa.

Trent’anni fa il debito pubblico americano era di 908 miliardi di dollari, nel 1982 supera la barriera dei 1.000 miliardi. Nel 1996 esso arriva ai 5.000 miliardi, nel 2008 sale a 10.000 miliardi. Oggi siamo a 16.400 miliardi e non abbiamo ancora fatto i conti con la gestione del Fiscal Cliff.

E’ più che triplicato in 17 anni e quasi raddoppiato negli ultimi quattro.

Ma probabilmente sono io che sono negativo, come mi ha scritto un amico il 31 dicembre.

Bene, stiamo veleggiando verso la fine del nostro lavoro.

Questo cammino ci ha fatto scoprire che la crescita non verrà dai consumi, non verrà dagli investimenti privati e non verrà dalla spesa pubblica.

Ci rimangono le esportazioni nette.

La variabile principe che regola le esportazioni nette è il tasso di cambio, soprattutto in un paese in cui la competitività e il costo del lavoro non sono variabili su cui poggiare. Ho già provato ad illustrare qualche riga fa cosa determina per un paese controllare o meno il proprio tasso di cambio. E’ ovvio che la crisi sia mondiale e che ogni paese cerchi in qualche modo di ricavare crescita supportando il proprio sistema produttivo grazie alla progressiva debolezza del proprio tasso di cambio. A seconda poi delle dinamiche specifiche, della scorta di spesa pubblica, della possibilità di controllare il tasso di cambio ogni paese sta cercando, disperatamente, di creare crescita indebolendo la propria divisa, per rilanciare i propri prodotti all’estero.

La Germania stessa, che ha forte competitività,  ha avuto sino ad oggi  meno problemi degli altri, esportando moltissimo verso gli Europeriferici. Oggi, a fronte di un un impoverimento di Portogallo, Spagna, Italia e della stessa Francia la possibilità di comprare merci dalla sessa Germania sta nettamente calando.

Guardando però al nostro paese, finchè rimarremo nell’Euro, sommeremo le difficoltà  attuali a quelle di una moneta troppo forte per noi: i nostri prodotti non possono essere competitivi perché i nostri costi di produzione sonon troppo elevati a causa di tecnologie poco avanzate, scarsa organizzazione del lavoro e investimenti di scarsa portata srategica. Questo discorso vale certamente anche per gli altri Europeriferici.

In poche parole quindi per l’europa “mediterranea”  l’unica fonte di crescita potrà derivare da una svalutazione competitiva dell’Euro o da un’uscita dall’Euro stesso.

Il mondo delle valute da sempre vive in condizioni di disequilibrio anche se un equilibrio esiste. Ce lo dice la Parità del Potere d’Aquisto, cioè è possibile determinare il valore di equilibrio tra due tassi di cambio grazie alla misurazione del prezzo in divisa locale  di un panieri di beni omogenei. Il valore di equilibrio tra Dollaro ed Euro si attesta tra 1,00 ed 1,10, mentre attualmente il cambio veleggia a 1,32 – 1,33.

A questo livello per gli Europeriferici e per il nostro paese possiamo affermare che non ci sia possibilità che la crescita possa derivare dalle esportazioni nette e quindi possiamo serenamente sostenere che non ci sarà crescita per i prossimi anni.

Ma un semplice ritorno dell’Euro su valori di equilibrio non sarà sufficiente, stante il tempo perduto in finti salvataggi di stati e sistema bancario. Per troppo tempo si è finanziato solo la carta dimenticando l’economia reale. Le profonde differenze della struttura economica tra Euroforti ed Europeriferici e tra Germania ed Europeriferici potrebbe rendere necessario una svalutazione più forte e soprattutto una svalutazione che implichi livelli differenti di tasso di cambio tra Germania ed Europeriferici al fine di riequilibrare le differenze e ridare crescita a questi paesi. E ciò non può avvenire evidentemente utilizzando la stessa divisa.

CONCLUSIONI

Ho provato ad analizzare la situazione cercando il “ciò per cui” dovremmo investire in un’attività finanziaria e perché dovremmo evitarne altre, al di là dei comportamenti degli altri investitori riassunti nel prezzo.

Questo “ciò per cui” è per me la crescita, sono i disequilibri, è la ricerca di attività sottovalutate rispetto al proprio valore intrinseco.

Per chi ci conosce da più tempo voglio solo ricordare che il nostro recente massimo momento di difficoltà coincise con il settembre 2008. All’epoca uscimmo dalla borsa completamente tra settembre 2006 e febbraio 2007. Sembravamo degli sciocchi.

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Vi faccio solo notare che il grafico è tratto da vecchio materiale di metà 2010. La nostra borsa era ancora a 24.000 (oggi 16.800) !!! Questo solo per trasmettervi quanto si sia superficiali alcune volte nei nostri pensieri, quanto essi riescano a trattenere solo il recente passato dimenticandosi della storia.

Ebbene anche in quella circostanza, direbbe qualcuno, scegliemmo “male” scegliemmo cioè attività, ed una in particolare, che ci faceva perdere qualcosa tutti i giorni, tutti i mesi, tutti i trimestri, perché tutti, ma proprio tutti la vendevano: lo Yen.

Il portafoglio continuava a perdere anche se meno di questa volta perché oggi i disequilibri, se sono state lette con attenzione le righe precedenti, sono ancora più grandi.

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Poi successe quello che successe (n.d.r. la discesa del grafico significa perdita dell’Euro e salita dello Yen da 171 a 113 in due mesi circa), alle attività che avevamo scelto all’epoca per proteggere il patrimonio ed alle attività che tutti acquistavano alla luce di una crescita infinita poggiata sul debito.

Non so dire a che punto siamo rispetto a quel settembre 2008, se siamo ad agosto 2008 od a settembre 2007. Io non lo so.

So solo che purtroppo succederà di nuovo. Non si tratta di essere “ottimisti” o “pessimisti”, si tratta solamente di approfondimento personale, di curatela del patrimonio altrui, dietro il quale sono riconoscibili i volti, le voci, i sogni, gli obiettivi.

Ovviamente qualcuno non ce la farà a tenere duro: è la vita. Non tutti si possono salvare da un naufragio, alcuni perché ancora a sorseggiare un bicchiere di spumante ballando al ritmo dell’orchestra dei vari Draghi di turno, altri perché presi a giocare con gli amici alla playstation, altri ancora perché sorpresi a leggere un libro o semplicemente perché convinti che ci siano barche inaffondabili.

Ma mi auguro ci siano insieme a questi anche queli che correrranno a mettersi il salvagente, nel momento del pericolo cercheranno di rimanere vicino alle scialuppe nonostante gli schizzi delle onde, che capiranno che in gioco c’è molto di più di un’emergenza, di un valore di realizzo di un patrimonio: c’è il proprio futuro.

Se avrete osservato le varie tabelle c’è poco da scherzare. Ognuno di noi potrebbe rimanere a casa dal lavoro, ognuno di noi potrebbe necessitare di disporre di parte o di tutto il proprio patrimonio.

Solo chi avrà cercato attività liquide, attività che incorporino nel loro valore l’acuirsi della crisi potrà cercare di gestire la situazione.  

Le scelte degli asset che compongono il nostro portafoglio riflettono un’impostazione che mira al ritorno dei valori finanziari al loro valore reale. Tanto maggiore è la “dicotomia” tra i due mondi, tanto peggiore purtroppo si è rivelata negli ultimi sei mesi la performance.  Non sappiamo ovvimente dare una scadenza a questa “farsa” che prezza le attività finanziarie secondo quotazioni fasulle e nel tempo insostenibili (in particolare i listini azionari e il cambio dell’Euro). Ma così come in passato abbiamo visto aggiustamenti veloci e per molti  versi “drammatici”, anche ora attendiamo fiduciosi il ritorno di un maggiore equilibrio tra prezzi di mercato e valori fondamentali.

Il mantenimento in vita dell’Eurozona richiede sforzi enormi che non potranno non passare per un forte deprezzamento della moneta unica quale unica strada percorribile per procrastinare il più a lungo possibile la resa dei conti tra realtà economiche troppo diverse tra loro. Ogni salvataggio viene “spacciato” come l’ultimo ma pone le basi per quello successivo. La Grecia, dopo almeno tre salvataggi, è un paese alla fame ma nei telegiornali vedrete solo la inspiegabile salita dei suoi titoli obbligazionari che certo non ha reso migliori le condizioni dei suoi cittadini ma solo rimpinguato qualche portafoglio di banche sempre più distanti dal tessuto imprenditoriale del territorio e sempre più  dipendenti dall’ossigeno della BCE. Questa certo non era la “mission” di un’Europa forte e solidale, in cui gli interessi di tutti i paesi e dei propri cittadini venissero perseguiti e difesi.

Il 2013 non sarà diverso: economie europee in contrazione e mercati finanziari in altalena, in attesa che la storia faccia il suo corso.

Ritengo quindi che questo portafoglio sia il migliore possibile per gli investimenti in essere e per la liquidità presente e futura.

Siamo ovviamente a disposizione per essere di aiuto a chiunque voglia confrontarsi con noi.

Colgo l’occasione per invitare a veicolare questo documento al numero maggiore di persone possibili per dar loro una possibilità di riflessione e, forse, di salvezza.

Ancora Buon 2013.

Gian Luca Bocchi

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