Quella tassazione barocca sugli ETF

Scritto per Ifanews da Paolo Sassetti, già membro del comitato scientifico Aiaf ed ex ceo Sopaf. La recente rimodulazione della tassazione sulle rendite finanziarie ha omesso di mettere mano ad una della maggiori assurdità fiscali in vigore in Italia: la tassazione sugli ETF.

Quella tassazione barocca sugli ETF

Per semplicità rinvio ad una trattazione piuttosto esauriente sul tema al link.

Tale trattazione va aggiornata solo sull’aspetto della ritenuta fiscale, passata nel frattempo dal 12,5 al 20%.

In breve, gli ETF in Italia sono tassati con un doppio, cervellotico ed irrazionale meccanismo che tassa due aggregati che sono entrambi irrilevanti rispetto all’effettivo guadagno degli investitori individuali.

Riprendendo lo studio testé linkato, la norma in vigore definisce come “redditi da capitale” il delta NAV degli ETF al momento dell’acquisto e della vendita, e come “redditi diversi” la differenza tra il delta prezzi (tra acquisto e vendita) ed i relativi delta NAV, secondo la formula:

Reddito diverso = (Pv – Pa) – (NAVv – NAVa)

Il buon senso comune avrebbe voluto che fosse tassato come “reddito da capitale” il delta prezzo dell’ETF comprato e venduto (e non il delta NAV, che è una astrazione che l’investitore non si intasca, diversamente da quanto avviene coi fondi comuni e le sicav) e che i redditi diversi fossero
riferiti esclusivamente agli eventuali dividendi distribuiti..

Ma la cosa più grave di questo sistema di tassazione è che “per quanto concerne i redditi di capitale, occorre notare come in presenza di delta NAV negativo [che sostituisce ed approssima il normale delta prezzo in tutti i titoli quotati, n.d.a.] , la perdita risultante dall’operazione non possa
essere dedotta in futuro”.

È come se la plusvalenza su un titolo azionario non potesse essere compensato dalla minusvalenza su altro titolo azionario. Di fatto, questo meccanismo aumenta il tax rate sugli ETF oltre il 20% in tutti i casi in cui un conto gestito od amministrato presenti delle posizioni in perdita (non
compensabili).

Gli ETF sono stati la più grande innovazione finanziaria “democratica” degli ultimi anni. Il trattamento che hanno subito è stato inversamente proporzionale al loro impatto potenziale ed alla loro utilità sociale.

Per quel che mi consta, solo in Italia è applicata ad essi una tassazione così assurda. Il sospetto è che l’assurdità non sia stata casuale, bensì l’esito di un’azione di lobbying da parte delle società di gestione tradizionali che ne temevano la concorrenza.

Infatti, se fosse stata la conseguenza di una azione di lobbying, tale tassazione avrebbe una sua pur perversa logica e motivazione, diversamente dovremmo concludere che il Legislatore è stato
semplicemente incompetente e “deficiente” di buon senso comune.

È ora che questo meccanismo fiscale venga razionalizzato e che la tassazione degli ETF venga equiparata a quella delle azioni.

L’Italia non si può più permettere tanto antimodernismo. Non è un caso che, mentre Francia, Gran Bretagna, Germania e Svizzera (solo per restare in Europa) hanno visto sorgere società “campioni” nello sviluppo di ETF, in Italia non esista alcuna fabbrica-prodotto di ETF.

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