DA "S'INDIPENDENTE". INTERVISTA A MATTEO PEDDITZI: "se non siamo disposti a rischiare davvero nulla per le nostre idee, o le nostre idee non valgono nulla o non valiamo nulla noi."

DA "S'INDIPENDENTE". INTERVISTA A MATTEO PEDDITZI: "se non siamo disposti a rischiare davvero nulla per le nostre idee, o le nostre idee non valgono nulla o non valiamo nulla noi."
Comitati in Regione, il 23 maggio 2024

Di Ivan Monni.

Il 23 maggio 2023, la delegazione di quello che era il nucleo fondativo dei comitati (Sarcidano, Anglona, Meilogu, Nuraxino e il Comitato Levatevi dalle Pale del Medio Campidanoveniva ricevuto in regione.

Un anno dopo, la battaglia è matura, partecipata da tutta la Sardegna, e in cima all’agenda politica.

È stata scritta (ma non approvata) la moratoria.


Un tentativo maldestro di mettere ordine all’assaltonon di bloccarlo (non si ridiscutono, ad esempio, i 6 gw stabiliti dall’Italia, non si avvantaggiano le comunità).

Non blocca le nuove richieste, per cui arriva nel sud Sardegna (Maracalagonis e Sinnai) la richiesta di valutazione ambientale per un impianto eolico da 122,4 MWp, composto da 17 pale, con richiesta di connessione ai comuni di Selargius, Quartucciu, Settimo San Pietro.
La moratoria tenta, semmai, di bloccare il dissenso.

In un’intervista a Dire, Alessandra Todde dichiara che “il Tyrrhenian Link non è in discussione“. E questo era chiaro, dato che non era stato inserito nella moratoria.

L’assessore Cani ha promesso un incontro con Terna.
Verosimilmente l’incontro si concluderà con qualche spicciolo aggiuntivo in favore del comune di Selargius.
Le famose compensazioni tanto odiate dal comitato, i 30 denari, in cambio del mantenimento della funzione speculativa del cavo, la mungitrice energivora sarda.

Nel frattempo il Comitato No Tyrrhenian Link ha presentato un esposto in procura, ennesima iniziativa volta a bloccare il cavo e le stazioni.

È fondamentale continuare a mantenere alta l’attenzione sul problema.
Questa settimana abbiamo intervistato Matteo Pedditzi, che qualche giorno fa ha bloccato i lavori delle trivelle a Selargius, dopo che Terna aveva imposto ad un proprietario la firma per la vendita del proprio terreno, davanti a 24 agenti delle forze dell’ordine e ad un decreto di occupazione d’urgenza.


Ciao Matteo, il video del blocco delle trivelle ha girato mezza Italia: te l’aspettavi?

Non mi aspettavo una risonanza nei media “ufficiali”.
Speravo – speravamo – vivamente in una grande risonanza all’interno dei gruppi/movimenti/comitati e singole individualità che stanno lottando contro la speculazione energetica.
L’idea che ci ha mosso, e che abbiamo provato a dire in tanti incontri e assemblee, era di dare un esempio pratico ed efficace di lotta.
La nostra speranza è che tanti e tante, vedendo i video della nostra azione, comincino a compiere azioni simili ovunque.
Siamo convinti e convinte che certe azioni siano più facili da compiere se si è in piccoli gruppi.
Basta un’individualità per fermare un cantiere, magari anche solo temporaneamente.
Due o più individualità che filmano da fuori il cantiere per dare testimonianza, e un individuo dentro.
Immagina se lo facciamo davvero in tanti e tante, ovunque ci sia un cantiere o un mezzo meccanico, o magari un camion che sta trasportando un container di batterie…
Facciamolo ovunque e diventiamo invincibili, nessun sistema repressivo riuscirà a prevenire tutti i blocchi.
Basta che usciamo dai social, smettiamo di sfogare la nostra rabbia e frustrazione nei post, e mettiamo i nostri corpi a tutela della nostra terra.
Anche senza far parte di nessun comitato, o partecipare ad un presidio, o fare parte di chissà quale gruppo.
Basta essere in due o tre per compiere azioni potenti ed efficaci.
Un messaggio importante che mi preme sottolineare: che sia salito io e non uno od una del nostro piccolo gruppo è stato puramente casuale.
Se riguardi bene i video, attorno alla trivella c’erano altri ed altre che hanno oltrepassato la recinzione ed erano assieme a me.
O meglio, io ero con loro.
Non c’è stato alcun “gesto coraggioso” da parte mia, sia perché non siamo nella situazione, ad esempio, dei Mapuche in Cile o dei Palestinesi a Gaza.
Non stavamo rischiando un proiettile in testa.
Ma anche perché non è stato un gesto individuale, ma il risultato di una valutazione collettiva.
Ripeto: cosa rischiamo quando fermiamo un cantiere? Che ci fermino le forze del disordine?
Che ci prendiamo una denuncia?
E anche se dovesse accadere, se non siamo disposti a rischiare davvero nulla per le nostre idee, o le nostre idee non valgono nulla o non valiamo nulla noi.
Qui non è in gioco un luogo, una spiaggia, un bosco o un nuraghe.
È in gioco la sopravvivenza dell’intera Sardegna e di chi ci vive.

Quando inizia la battaglia contro il Tyrrhenian Link?

La lotta contro il Tyrrhenian Link è iniziata in realtà da tempo, almeno da quando Sardinnia Aresti ha pubblicato l’opuscolo “chi semina vento raccoglie tempesta”.
Già due e passa anni fa organizzavamo mercatini di piccoli produttori per cercare di sensibilizzare la popolazione sul problema.
Poi c’è stata la nascita del Comitato No Tyrrhenian Link, con cui abbiamo continuato a fare informazione (le prime assemblee le facevamo all’aperto in paese), e con cui abbiamo fatto pressione all’amministrazione comunale, partecipando a diversi consigli comunali aperti.
Poi abbiamo creato il presidio a Su Padru, in un terreno sotto esproprio.
Il terreno sotto esproprio ha uno spazio “libero”, su cui abbiamo costruito la baracca, e una vigna produttiva (uva Monica).
A sa Barracca de su Padru abbiamo fatto diverse iniziative, dal cinema, a concerti, alla potatura della vigna, per cercare di fare avvicinare le persone ai luoghi a rischio devastazione, e in qualche modo innamorare, fare sentire proprio, quello spazio collettivo.

In questa fase, in cui il problema della speculazione energetica è sulla bocca di tutti ed è in cima all’agenda politica, quali forme di lotta occorre fare?

Come scritto sopra, innanzitutto con una ferma opposizione, anche fisica, all’avanzamento dei cantieri.
Non credo che le azioni legali, i compromessi con la politica regionale, i ricorsi, ecc, potranno mai avere alcun effetto reale, se non quello di farci perdere tempo ed energie.
Solo la lotta di popolo potrà avere qualche possibilità di fermare lo scempio, la devastazione, la morte culturale e ambientale di questa Terra.
Parallelamente, nel dibattito sulla “transizione energetica” mancano alcuni aspetti fondamentali, che invece proprio i comitati e le organizzazioni dovrebbero tenere tra i propri punti fermi.
In questo una funzione utile dei comitati potrebbe essere proprio quella di organizzare informazione capillare per smontare la narrativa ufficiale.

Uno è la enorme quantità di bugie che sta dietro la “transizione energetica”.
Guarda i dati sulla produzione energetica: sta aumentando quella da “fonti rinnovabili” ma sta aumentando di pari passo quella da fonti fossili.
Mica il contrario!
E pensa qui in Sardegna…
Ci hanno detto, all’inizio che tutto questo serve per chiudere le centrali di Fiume Santo e Portovesme.
Ora ci dicono che la distruzione totale della nostra terra serve NON a chiudere le centrali, ma a smettere di usare il carbone. Già si parla di convertirle a metano o GNL. Altre fonti fossili insomma.
Nel mentre, di chiudere la Sarlux, che produce energia bruciando scarti di lavorazione di raffinerie, nessuno ne parla nemmeno, evidentemente non inquina...
Di fatto non c’è nessuna transizione in atto. Si continuerà a produrre energia da ogni fonte possibile, basta che ci sia un profitto.
E qui veniamo ad un altro punto che secondo me dovrebbe essere all’ordine del giorno in tutti i comitati, in tutte le organizzazioni che combattono la speculazione energetica.
E il punto è: perché considerare normale che la produzione di energia deve essere in mano ai privati?

Come è possibile esserci dimenticati che le infrastrutture fondamentali sono state per lungo tempo di proprietà pubblica?
Come è possibile che sia considerato normale che dei privati possano ottenere profitto da qualcosa che riguarda l’intera società, e che è indispensabile all’interno paese?
La speculazione energetica che si sta abbattendo come un terremoto sulla Sardegna è finanziata quasi interamente con denaro pubblico.
Allora dobbiamo essere noi cittadini a decidere come e dove produrre energia.
Usiamo questo denaro, che è nostro, per creare comunità energetiche territoriali e rendiamoci davvero indipendenti, almeno in materia di energia!

Per chi avesse dubbi sulla portata dell’imbroglio, basta pensare alle basi militari che impestano la Sardegna.
Quindi secondo l’idea che ci vogliono spacciare per buona, la Sardegna potrà essere quell’esempio virtuoso che produce un sacco di energia “pulita” mentre 30.000 ettari del suo territorio sono usati per esercitazioni militari e per la sperimentazione di nuovi armamenti.
Oh, non dimentichiamolo, lo facciamo per salvare il pianeta eh!
Le bombe mica inquinano, gli aerei da guerra neanche, e figuriamoci i carri armati che vanno a petali di rosa

Il movimento diffuso, che include anche i comitati, riuscirà a fermare la speculazione?
Come pensi che si chiuderà la questione della speculazione energetica in Sardegna?

Non si chiuderà, almeno sinché non rimetteremo in discussione il sistema di produzione capitalistico.
La “transizione energetica” parte di una serie di progetti decisi da pochi oligarchi e diventati norma grazie ai loro emissari messi nei punti chiave della politica italiana ed europea.
Stiamo subendo una rivoluzione industriale di enorme portata, una riorganizzazione del capitalismo che non riguarda solo la produzione di energia.
A questo proposito, e ci ricolleghiamo ai punti esposti prima, un altro elemento che dovrebbe essere all’ordine del giorno è la “transizione digitale”.
I super computer, i data center, i cosiddetti Cloud, ma anche la digitalizzazione dell’amministrazione pubblica, hanno bisogno di immense quantità di energia.
Tra gli obiettivi a breve termine della UE c’è quello di portare la copertura WiFi all’intero territorio europeo.
Abbiamo idea di quanta corrente servirà produrre per raggiungere questo obiettivo?
Ci sono stime che parlano di qualcosa come 10 volte la produzione totale attuale di energia.
E in tutto ciò la popolazione non ha voce in capitolo, nessuno ci ha chiesto in che mondo vogliamo vivere.
Bene, è giunto il momento di ricominciare a discutere anche di questo.

Nei Comitati si discute spesso sulla necessità che siano le comunità a decidere del proprio futuro, esiste anche un problema di autodeterminazione dei territori e della Sardegna?

Eccome se esiste.
Si può analizzare sotto diversi punti di vista.
Uno, che è comune credo all’intero “occidente” è la disaffezione verso la cosa pubblica. Non tanto verso la politica partitica, ma proprio verso tutto ciò che in realtà è bene comune.
“Non è mio quindi non mi interessa” ma chi pensa in questo modo dimentica che tutto ciò che è pubblico è anche suo, è stato pagato anche da lui/lei e -almeno teoricamente – ha anche lui/lei il diritto di usufruirne e il dovere di difenderlo.
Sono stati scritti saggi di ogni tipo su questo tema.
Un altro punto è che la Sardegna ha subito una colonizzazione culturale fortissima.
Dalla proibizione del parlare sa limba dei primi del ‘900 all’accoglienza riservata al “principe di Savoia” dalla presidente della regione Sardegna.
Anche su questo è stato scritto tanto.
Nonostante tutto, comunque, esistono e resistono, in varie forme, situazioni in Sardegna dove esiste ancora un senso di comunità.
Penso ai centri più piccoli, e ad alcune zone della Sardegna.
La battaglia contro la speculazione energetica sta riportando il popolo sardo, almeno alcune sue parti, a confrontarsi, a discutere, a cercare soluzioni.
In questo vedo una grande possibilità.
Vedo la possibilità di cominciare a rimettere in discussione l’intero sistema in cui viviamo.
Questo può fare rinascere quel senso di comunità che è stata sino a pochissimo tempo fa l’ossatura della nostra società.
Quel senso di comunità che può portarci a rimettere in discussione le decisioni prese dall’alto, da anonime figure e vaghi opachi organismi.
Decisioni che dobbiamo imparare nuovamente a prendere noi, collettivamente, territorio per territorio.
Qualsiasi discussione sull’indipendenza della Sardegna non può prescindere dal bisogno di creare nuovamente comunità.
Ma dato che il sistema capitalista contemporaneo ha invece bisogno che le comunità non esistano proprio, se non rimettiamo in discussione il capitalismo in toto, questo mostruoso sistema di produzione che parla di ecologia ma produce oggetti che dopo due anni si rompono, che inquina e devasta e bombarda mentre parla di difesa dell’ambiente e della democrazia …
La Sardegna non è un boccone nel grande buffet del capitalismo.
In cerchio, con calma e determinazione, riprendiamoci la nostra terra e le nostre vite.

Grazie Matteo!

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