Derivati e bilancio nel D.Lgs. n. 139/2015: un lungo percorso verso la trasparenza

L’art. 6 del D.lgs n° 139 del 18 agosto 2015  (c.d. “decreto bilanci” pubblicato in G.U. lo scorso 4 settembre) in recepimento della Direttiva UE n° 34 del giugno 2013[1]) apporta, tra le altre, un significativo e probabilmente decisivo apporto di trasparenza nella “disclosure” tecnico contabile dei contratti derivati sottoscritti da imprese non finanziarie anche di medio e piccole dimensioni unita ad una maggiore convergenza di lettura rispetto alle prassi comunemente utilizzate dalle loro controparti. Di Nicola Benini, Partner Ifa Consulting, Vicepresidente ASSOFINANCE Le nuove norme entreranno in vigore il prossimo 1 gennaio 2016, ma per poter assolvere efficacemente alle disposizioni di legge nonché per consentire una comparabilità tra l’esercizio in corso nell’anno solare 2015 ed il prossimo, sarà necessario provvedere per tempo. Come noto in passato e fino al 2004 a livello regolamentare nazionale erano assenti specifiche regole di valutazione e rappresentazione delle operazioni c.d. “fuori bilancio”[2]: in assenza di una specifica disciplina del Codice Civile, la prassi professionale rinviava in chiave interpretativa ai principi contabili nazionali e internazionali e a fonti quali il D.Lgs n° 58/1998 e il D.Lgs n° 87/92 per le banche. Il processo di trasparenza, ha avuto un importante, ma non ancora decisivo impulso, con il D. Lgs. n° 394 del 30 dicembre 2003 (ed il corrispondente D.M. n° 389/2003 per i bilanci pubblici), cui erano seguiti importanti contributi sia dall’ O.I.C. (Organismo Italiano di Contabilità) ai n° 3, 22, 19, 26 [3]) e dallo stesso Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti[4]. Quest’ ultimo intervento dell’agosto 2015  si è reso necessario per colmare alcune lacune che ancora permettevano di aggirare il rispetto di alcuni principi generali di Bilancio, ma anche come diretta conseguenza della eccessiva casistica di eventi critici e finanche patologici che hanno visto coinvolte imprese private e pubbliche di tutte le dimensioni anche dopo il 2005 data di entrata in vigore del Decreto n° 394. Peraltro in ambito pubblico solo i recenti processi di convergenza ed armonizzazione[5] hanno arginato (purtroppo tardivamente) quella che era una autentica falla causata dalla diversa contabilizzazione degli stessi contratti derivati rispetto alle controparti. Il tema, per la sua vastità, verrà trattato con un successivo contributo. Le nuove disposizioni danno ulteriore ragione alle caratteristiche di concretezza ed attualità di alcune grandezze economiche come il “fair value”, ritenute da taluni invece non meritevoli di adeguata trasparenza (e quindi contabilizzazione) nel filone storico della prevalenza giuridico – formale su quella economica –sostanziale dei contratti. Questo perché spesso, proprio i contratti derivati sono produttivi di discrasie tra effetti/obblighi immediati e certi nel loro ammontare di tipo finanziario (e quindi gli unici meritevoli di segnalazione per i sostenitori della tesi minoritaria) e futuri/potenziali/incerti nell’ammontare di tipo economico (che non avendo un impatto immediato non avrebbero una sostanza giuridicamente rilevante). In realtà da una attenta lettura delle nuove regole emerge come le stesse finalizzano il più generale principio della “prevalenza della sostanza sulla forma” il cui rispetto, proprio in presenza di contratti derivati, può assumere impatti inattesi quanto molto rilevanti. Il testo della direttiva è assai chiaro nell’ affermare che “la rilevazione e la presentazione delle voci nel conto economico e nello stato patrimoniale tengono conto della sostanza dell’operazione o del contratto in questione”; il nuovo art. 2423-bis primo comma sub a) al punto 1-bis cc recita “la rilevazione e la presentazione delle voci è effettuata tenendo conto della sostanza dell’operazione o del contratto”: il codice civile pertanto conferma il recepimento del principio generale nella contabilità nazionale rinunciando implicitamente alla “strana” facoltà lasciata agli Stati membri di poter derogare.[6 Invero  l’ O.I.C., proprio in tema di derivati, già aveva derogato alla regola della prevalenza della rappresentazione giuridica su cui si fondavano i principi contabili nazionali.  A dispetto di qualche resistenza e finanche bizzarro pronunciamento giurisprudenziale[7] non poteva essere diversamente: pena non solo la divergenza con i principi contabili internazionali, ma soprattutto con la realtà e le prassi di funzionamento dei mercati e degli operatori finanziari. Infine è opportuno segnalare l’ espresso richiamo in direttiva al principio di “prudenza”[8] elencato in tre casi assai frequenti quando trattiamo derivati: a) rilevazione esclusiva dei soli utili realizzati; b) rilevazione delle passività fino alla data della formazione del bilancio, c) rilevazione di tutte le rettifiche di valore negative indipendentemente dall’ esito del

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