IL CORAGGIO DI SCRIVERE LA PAROLA "VITTIMA"

IL CORAGGIO DI SCRIVERE LA PAROLA   "VITTIMA"

Torino, 18 settembre 2023. Di Chiara Zarcone,  avvocato del Foro di Torino, Giurista e cultore della materia Diritto Penale presso l'Università degli Studi di Torino.

Non è mai stato semplice parlare di "vittima del reato" nel sistema giuridico italiano, vuoi per la complessità della tematica vuoi per una non totale adeguatezza normativa, vuoi la lunga scia di sangue e disperazione che impregna la parola stessa.

A riprova di ciò basti evidenziare come nel codice penale italiano, nonché in quello di procedura penale, il termine "vittima" appare solo nell’art. 498, 4° ter comma, c.p.p. e nell’art. 90- bis1 c.p.p. che è stato introdotto nel nostro ordinamento dalla legge Cartabia e quindi sono nel 2021.

Dottrina e giurisprudenza amano piuttosto termini quali persona offesa dal reato”, “offeso dal reato”, “persona danneggiata dal reato. E' stato necessario gettare lo sguardo al di là della siepe è guardare alle fonti internazionali nelle quali la "vittima" di reato di violenza di genere e vittima di reato in generale trova una sua collocazione ufficiale.

Proprio le fonti sovranazionali, in particolare la Direttiva comunitaria del 25 ottobre 2012, n. 29 ratificata in Italia con la l. 15 dicembre 2015, n. 212 sulle vittime di reato in genere, non si è limita ta ad adoperare esplicitamente il termine "vittima" ma la definisce "una persona fisica che ha subito un danno, anche fisico, mentale o emotivo, o perdite economiche che sono state causati direttamente da un reato" ed in ciò attinge dalla tradizione quirita che identificava la vittima come "victima con vincta adducatur ad altarem", sostanzialmente una persona che patisce le sofferenze di uningiustizia subita.

Lo scopo precipuo del diritto penale è quello di sostituire la risposta giudiziaria statuale alla "vendetta" da parte dei soggetti passivi del reato o dalla loro comunità quindi, in tale ottica, dovremmo trovarci innanzi un sistema normativo "vittimo-centrico", eppure soltanto negli ultimi anni si è assistito ad un iperbolico mutamento di rotta - purtroppo alimentato dai fatti di cronaca cui assistiamo giornalmente.

Nel processo penale italiano la persona offesa dal reato assume la veste di soggetto processuale - ma non quella di parte - e non possiede conseguentemente la titolarità del diritto alla prova, sino al momento in cui non si costituisce parte civile e diviene dunque ufficialmenteparte processuale. Non esiste alcun automatismo che renda la persona offesa necessariamente parte processuale. La vera svolta nel senso di una maggiore tutela delle vittime è di matrice europea.

Si pensi che nel Regno Unito vide la luce nel 1974, la Victim Support UK, un ente indipendente esclusivamente dedicato al supporto delle vittime del reato in Inghilterra ed in Galles.

Gli organi dell'Unione Europea, in altri casi accusati di burocratica indifferenza nei confronti dei drammi che purtroppo hanno caratterizzano quegli ultimi anni, hanno svolto una fondamentale funzione di stimolo in relazione alla tematica riguardante la posizione della vittima in ambito processuale.

Infatti il punto 9 inserito nella Direttiva 2012/29/UE specifica come il reato, oltre ad offendere la società nel suo complesso rappresenta inoltre "una violazione dei diritti individuali delle vittime".

Finalmente ai sensi dellart. 2 della medesima Direttiva la vittima del reato è "una persona fisica che ha subito un danno, anche fisico, mentale o emotivo, o perdite economiche che sono stati causati direttamente da un reato".

Ma l'evoluzione normativa ci ha regalato anche il D.Lgs. n. 212 del 2015 che, proprio richiamando il dettato della Direttiva 2012/29/UE, ha previsto specifiche misure a tutela delle vittime particolarmente vulnerabili.

Al fine di delineare le coordinate del concetto di particolare vulnerabilità”, il legislatore ha introdotto nel nostro codice di procedura penale uno specifico articolo, e cioè l’art. 90-quater c.p.p. (condizione di particolare vulnerabilità), in base al quale "Agli effetti delle disposizioni del presente codice, la condizione di particolare vulnerabilità della persona offesa è desunta, oltre che dall’età e dallo stato di infermità o di deficienza psichica, dal tipo di reato, dalle modalità e circostanze del fatto per cui si procede.

Per la valutazione della condizione si tiene conto se il fatto risulta commesso con violenza alla persona o con odio razziale, se è riconducibile ad ambiti di criminalità organizzata o di terrorismo, anche internazionale, o di tratta degli essere umani, se si caratterizza per finalità di discriminazione, e se la persona offesa è affettivamente, psicologicamente o economicamente dipendente dallautore del reato ".

Con riferimento alle dichiarazioni rese dalle persone offese particolarmente vulnerabili”, il decreto legislativo n. 212 del 2015 ha operato un mutamento di paradigma aggiungendo allart. 134, comma 4, c.p.p., il seguente dictat: "La riproduzione audiovisiva delle dichiarazioni della persona offesa in condizione di particolare vulnerabilità è in ogni caso consentita, anche al di fuori delle ipotesi di assoluta indispensabilità".

Ma non solo.

Non ancora molto conosciuto l’art. 129-bis c.p.p., introdotto con il D.Lgs. 10 ottobre 2022 n. 150, è volto a regolare l’accesso ai programmi di Giustizia Riparativa.

Questa trova definizione nell’art. 42 del DLgs 150/2022 come «ogni programma che consente alla vittima del reato, alla persona indicata come autore dell’offesa e ad altri soggetti appartenenti alla comunità di partecipare liberamente, in modo consensuale, attivo e volontario, alla risoluzione delle questioni derivanti dal reato, con l’aiuto di un terzo imparziale, adeguatamente formato, denominato mediatore».

L' intento del Legislatore è volto alla ricostruzione del legame tra vittima, reo e comunità. L' esito riparatorio può essere simbolico o materiale. Simbolico nella misura in cui consista in dichiarazioni, scuse formali, impegni comportamentali anche pubblici o rivolti alla società, accordi relativi alla frequentazione di persone o luoghi, materiale se invece si concretizzi nel risarcimento del danno, nella restituzione di beni, nell’adoperarsi per elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato o evitare che lo stesso sia portato a conseguenze ulteriori.

La legge prevede come i programmi di giustizia ripartiva si debbano svolgere nei Centri per la giustizia riparativa, ossia strutture istituite presso gli enti locali a cui competono le attività relative all’organizzazione, gestione, erogazione e svolgimento dei programmi.

Bisogna rilevare come lo sforzo normativo profuso non possa bastare , come non può bastare l’indicazione delle case famiglia, dei centri antiviolenza e delle case rifugio situate nel territorio. Occorre di più. Bisogna individuare nuove soluzioni che tengano dovuto conto delle mille sfumature della realtà odierna e delle mille sfumature dell' umanità che la vive, ispirandosi nel caso di specie, alla consapevolezza che il condannato deve essere supportato in un percorso di riabilitazione tendente ad un completo recupero e reinserimento sociale ma la vittima necessita di adeguate attenzioni e di un supporto sia materiale che psicologico.

Si chiede una maggior consapevolezza sui rischi della "vittimizzazione secondaria", che non sono esorcizzati dalla sola buona volontà, ma necessitano di sempre nuovi sforzi da parte del Legislatore. E' necessario che venga garantito il diritto della vittima di interfacciarsi nuovamente con la società dopo la sofferenza patita.