OCCORRE UN NUOVO APPROCCIO ALLA PROFESSIONE FORENSE E ALLA PREVIDENZA.

OCCORRE UN NUOVO APPROCCIO ALLA PROFESSIONE FORENSE E ALLA PREVIDENZA.

Trento, 18 settembre 2023. Di Paolo Rosa, avvocato del Foro di trento, esperto in Diritto del Lavoro e Previdenziale.

Secondo Daniel Susskind: "Il modello assunzione-carriera-pensione è superato. Dobbiamo pensare a un mondo senza lavoro"

Il mio amico avv. Giuseppe Valenti, di Formia, mi scrive che: “inseguire l’onere pensionistico con la logica della sostenibilità è come svuotare il mare con il secchio, al prezzo di vita grama per quasi tutti” e mi invita a dare un’occhiata all’analisi di Susskind perché in quel processo ci siamo già dentro.

L’amico Valenti, con me, sfonda una porta aperta perché, trattando il tema dell’intelligenza artificiale ,ho già scritto il 12 maggio 2023, in questa rivista “L’intelligenza artificiale avrebbe già riportate le casse di previdenza in INPS”.

Secondo Daniel Susskind: “Il modello assunzione-carriera-pensione è superato. Dobbiamo pensare a un mondo senza lavoro”

«L’economista nel suo libro analizza un mondo in cui la tecnologia sostituirà molte figure professionali e il lavoro scomparirà.

Ecco perché, dice “dobbiamo concentrarci sul tempo libero”.

Al rientro in ufficio dopo le vacanze, il consiglio dell’economista Daniel Susskind suona ancora più urgente: «Dovremo pensare più seriamente al tempo libero».

Già consulente politico del governo britannico, fellow in Economia all’università di Oxford, visiting professor al King’s College di Londra e autore di Un mondo senza lavoro (Bompiani), spiega così il suo punto di vista: «Nei prossimi cento anni il progresso tecnologico potrebbe portare a un benessere e a una prosperità senza precedenti, ma il lavoro diventerà scarso.

Qualsiasi professione, che si tratti di diagnosticare una malattia, redigere un contratto, scrivere notizie, comporre musica o costruire una casa, sarà sempre più alla portata dei computer, grazie ai progressi inarrestabili della tecnologia.

Quindi la minaccia di un mondo senza lavoro per tutti è una delle sfide più grandi del nostro tempo».

Per Susskind le questioni da affrontare nei prossimi decenni sono tre: distribuire la prosperità in modo equo, limitare il crescente potere delle Big Tech che sono responsabili dello sviluppo delle tecnologie e riscoprire il senso di un mondo in cui il lavoro non sarà più il centro delle nostre vite.

Tracciando la storia dei principali cambiamenti del nostro tempo, l’autore invita pragmaticamente a esplorare strade diverse da quelle di un’economia basata sulle professioni. Com’è nato Un mondo senza lavoro? «Ogni giorno sentiamo storie di macchine che svolgono attività che in passato si pensava potessero essere fatte solo dagli esseri umani.

Ma non prendiamo mai sul serio la minaccia del progresso tecnologico e l’automazione nel mondo del lavoro. Secondo l’economista Wassily Leontief il vento tecnologico che ha spazzato via i cavalli prima o poi avrà lo stesso impatto sugli esseri umani». Robot e computer finiranno per portarci via il lavoro? «Non credo che ci sarà un big bang così drammatico come immaginava Leontief, ma un cambiamento graduale».

La paura dell’automazione e dell’innovazione ha sempre accompagnato la storia del progresso tecnologico… «Da quando è iniziata la crescita economica moderna, 300 anni fa, siamo in ansia perché la tecnologia possa rubarci il lavoro, ma ce n’è sempre stato abbastanza per tutti.

Questa volta invece sarà diverso, perché la tecnologia sta diventando, gradualmente ma inesorabilmente, sempre più capace e potente». Cosa rischiamo quindi? «La tecnologia creerà nuovi posti di lavoro, ma per varie ragioni le persone non saranno in grado di svolgerli. Perché non hanno le competenze e le capacità richieste per svolgerli o perché il lavoro non si trova nello stesso luogo in cui vivono.

Dall’inizio di internet si dice che il mondo è piccolo e la distanza non conta più, ma in realtà il luogo in cui si vive e si cerca un lavoro è più importante che mai.

E poi il lavoro definisce l’identità della persona. Alcuni preferiscono rinunciare a certi mestieri pur di proteggerla. Per ora la sfida è questa sorta di disoccupazione tecnologica “frizionale”, ma più avanti ci troveremo di fronte a una disoccupazione tecnologica più strutturale.

È la sfida del XXI secolo, che i nostri figli e nipoti vivranno nei prossimi decenni».

Condivide quindi la minaccia della disoccupazione tecnologica formulata da Keynes negli anni Trenta? «Condivido l’ottimismo di Keynes, nonostante possa sembrare inquietante. In un certo senso, la disoccupazione tecnologica è un sintomo di successo. Se per la maggior parte della nostra storia l’umanità ha dovuto affrontare un problema di sussistenza, negli ultimi 300 anni la crescita economica è esplosa.

Ora la sfida è come distribuire la ricchezza nella società se il modo tradizionale (retribuire le persone per il lavoro che svolgono) è meno efficace del passato.

Come dovremmo reagire, quindi, a questo scenario? «Ripensando l’istruzione, nonostante i suoi limiti. Bisogna insegnare le competenze che renderanno le persone migliori in quegli ambiti in cui le macchine sono carenti. Scegliere lavori come l’infermiere o il caregiver, che richiedono abilità per ora al di fuori della portata dei robot. Abbiamo bisogno poi di uno Stato che assuma un ruolo più ampio nella ripartizione del reddito nella società, se non possiamo affidarci al mercato del lavoro.

La soluzione? Un reddito di base universale “condizionato”, per mantenere il senso di solidarietà sociale. Le persone potrebbero contribuire al bene collettivo attraverso altre attività, come per esempio il volontariato».

Il lavoro non è solo una fonte di reddito, per molti è anche il senso della vita.  «Grandi nomi del pensiero occidentale hanno analizzato il rapporto tra lavoro e senso della vita. Per Freud il lavoro era una garanzia di ordine sociale.

Per Max Weber una forma di devozione religiosa. Per Alfred Marshall il modo di accedere alla pienezza della vita. Di conseguenza non lavorare è un demerito, una vergogna. Eppure in altre società di diverse epoche storiche, il lavoro era considerato degradante.

A Tebe, nell’antico Egitto, la legge vietava ai cittadini di esercitare qualsiasi attività commerciale per dieci anni prima di candidarsi alle elezioni. A Sparta, i giovani che imparavano l’arte della guerra dovevano astenersi da qualsiasi attività produttiva. Nella città ideale teorizzata da Platone i lavoratori erano confinati alla classe di artigiani e non avevano la possibilità di occuparsi degli affari di Stato.

Nelle antiche mitologie e scritture sacre il lavoro era considerato una punizione. Oggi, invece, siamo talmente dipendenti dal lavoro che non riusciamo a immaginarci senza. Invito quindi a riconsiderare il rapporto tra lavoro e senso della vita, perché non è così forte come molti pensano. L’altra questione che si pone è come le persone trascorreranno il tempo libero se non lavoreranno.

Il lockdown imposto dalla pandemia è stata una prova». Smart working, settimane corte e grandi dimissioni vanno già verso un nuovo rapporto tra lavoro e senso della vita? «Sì, l’idea di intraprendere una carriera, trascorrere diversi decenni a progredire e poi andare in pensione, è piuttosto superata. Se siamo liberi di vivere la nostra vita in modo diverso, troveremo un significato altrove». (Fonte:  Daniel Susskind: “Il modello assunzione-carriera-pensione è superato. Dobbiamo pensare a un mondo senza lavoro” di Francesca Ferri, La Repubblica, 05 settembre 2023)

Per l’economista Daniel Susskind di Oxford l’intelligenza artificiale ci sta già superando, anche nell’arte e nei lavori di ingegno.

È in atto un cambiamento che richiederà una modifica del modello di business degli studi legali.

Oggi molte generazioni di avvocati, anche la mia, sono in difficoltà di fronte alle nuove tecnologie che danno l’idea di come la professione stia, rapidamente, cambiando.

L’intelligenza artificiale non è un set di risorse tecnologiche avanzate per fare meglio e più in fretta ciò che già potevamo fare, ma un mondo, per dirla con il filosofo tedesco Gunther Anders, nuovo e diverso che richiede protagonisti diversi.

Voglio dire che l’intelligenza artificiale non è una moda, come lo è stato il fax, che ad un certo punto è divenuto obsoleto, ma una nuova fase dell’esperienza umana.

Oggi dobbiamo far lavorare un avvocato in simbiosi con un informatico ma si dovrà ben presto arrivare all’avvocato informatico che non avrà più bisogno di uno studio attrezzato perché con il suo smartphone potrà fare tutto, anche a distanza.

I Tribunali saranno virtuali.

Molte generazioni di avvocati scompariranno, travolte dall’obsolescenza dei loro mezzi, per lasciare spazio alle nuove, poche di numero, tecnologicamente informate.

L’università è già in ritardo.

La previdenza saprà adattarsi al nuovo mondo?

Tutta da inventare!

Il robot verserà i contributi a favore di chi lo utilizza?

Ora l’intelligenza artificiale, generativa, se consente a chiunque di lanciare contenuti multimediali falsi, ma altamente realistici, consente per contro di sostituire la figura della segretaria/o con l’assistente virtuale intelligente.

Per stare sul pezzo l’INPS lo sta già sperimentando grazie al PNRR.

Si veda il messaggio INPS 2659 del 14.07.2023.(L’introduzione di un modello di intelligenza artificiale di tipo generativo nel motore di ricerca del portale consentirà un accesso più rapido e intuitivo alle informazioni, migliorando l’esperienza utente e garantendo una maggiore efficacia nella risoluzione delle domande e dei problemi degli utenti).

Pur tuttavia, oggi, bisogna continuare ad affrontare il tema della “sostenibilità” delle Casse di previdenza a garanzia dei pensionati, che continueranno ad aumentare.

Mi pare ultroneo spendere pagine e pagine e convegni su convegni per commentare la Riforma Cartabia che non è nulla di fronte al nuovo mondo che avanza, a ritmi vertiginosi.

La sinteticità è la regola del nuovo mondo!

Il D.M. 7 agosto 2023 n.110 non fa che indicare la strada!

Parole chiave: adeguarsi in fretta al nuovo con apposito collegamento ipertestuale.

La società è “liquida” come la chiamava il sociologo e filosofo Zygmunt Barman e ha come “unica costante il cambiamento e l’unica certezza è l’incertezza.”

Gli avvocati, notoriamente lenti al cambiamento, specie sul piano tecnologico, dovranno accettare di buon grado le sfide lanciate dalla necessità di acquisire nuove competenze su temi che sono giocoforza indissolubilmente legati ad ogni settore del diritto.

Chi non lo comprende resterà fuori dal mercato.

Estote parati, dicevano gli antichi.

Il resto, solite chiacchere da bar sport.

Coa, Cnf, Ocf, reperti archeologici!