IL PREMIERATO

IL PREMIERATO

Torino, 10 febbraio 2024. Di Chiara Zarcone Avvocato del foro di Torino, giurista, già Cultore della materia diritto penale presso l’ Università degli studi di Torino.

Analisi giuridica di una possibile riforma costituzionale
Lo slogan è sempre stato "diamo un potere in più ai cittadini" ma, al di là dei populismi, ed in vista di una importante riforma costituzionale, è necessario chiarire cosa è, e come potrebbe essere attuato, il cosiddetto premierato.
Proviamo a sintetizzarlo e semplificarlo il più possibile.
Premettiamo che è dovere di giurista evidenziare che, a differenza di quanto affermato da alcuni esponenti politici, non è assolutamente vero che della nostra Costituzione "...nulla è immodificabile.".
E' certamente necessaria una evoluzione che tenga conto delle necessità dei cives ma la nostra Carta Costituzionale ha comunque un nucleo immodificabile composto dai princípi supremi dell’ordinamento, rispondenti ai valori identitari della comunità, e che il rispetto delle norme componenti tale nucleo è garantito dalla giurisdizione costituzionale.
Dall' analisi tecnica allegata al disegno di Legge è emerso che il modello di forma di governo previsto nello stesso disegno sia in armonia con i principi costituzionali di democrazia, rappresentatività, separazione dei poteri e con il rispetto delle prerogative degli organi costituzionali. Non sono stati dunque evidenziati contrasti con i limiti espliciti ed impliciti alla revisione costituzionale.
C' erano una volta le elezioni politiche del 25 settembre 2022 e c'era la coalizione di centrodestra che tentava di dare attuazione al programma elettorale nella parte che prevedeva le "Riforme istituzionali, della giustizia e della Pubblica Amministrazione secondo Costituzione" ipotizzando, nella pratica, l’elezione diretta del Presidente della Repubblica.
Tale previsione era assolutamente nebulosa e teorica tanto che  si rese necessaria una commissione di esperti ad hoc che potesse delinearne i contorni  in vista di una ipotesi riforma.
Attenzione! Si premette come non esista una definizione "scientifica" di premierato.
Con questo termine ci si riferisce ad una forma di governo basata sulla legittimazione popolare del primo ministro.
Il premierato può essere declinato in premierato forte e premierato debole a seconda del grado di autonomia e di supremazia nei rapporti tra governo e Parlamento.
Il premierato forte, prevede che il presidente del Consiglio venga eletto dai cittadini. In tale ipotesi se il Parlamento non votasse la fiducia al primo ministro, quest’ultimo non potrebbe essere sostituito nel corso della legislatura e, quindi, in caso di crisi di governo bisognerebbe tornare al voto.
Tale gap del sistema potrebbe essere aggirato ricorrendo alla "sfiducia costruttiva" che consiste nell'impossibilità da parte del parlamento di votare la sfiducia al governo in carica se, contestualmente, non concede la fiducia ad un nuovo esecutivo.
In questo modo un governo, nonostante abbia perso la maggioranza parlamentare, può continuare a rimanere in carica nel caso in cui le forze politiche in parlamento non riescano ad accordarsi per formare un nuovo governo.
L’unico sistema di governo dove è stata attuata una forma di premierato con elezione diretta del primo ministro si è osservato in Israele.
A seguito di un prolungato periodo di paralisi politica e frammentazione partitica, nel marzo 1992 il parlamento israeliano, la Knesset, adottò un nuovo e originale sistema consistente nell'elezione diretta del Premier, in contemporanea con l'elezione del parlamento, e nel mantenimento del legame fiduciario tra legislatore e governo.
Scopo principale della riforma era di rafforzare l'esecutivo e garantire una maggior efficacia e coerenza nel processo di formulazione ed esecuzione della politica del governo - tale sistema entrato in vigore per le elezioni del maggio 1996, è stato abolito nel marzo del 2001, dopo appena cinque anni.
Il premierato debole, per converso, non prevede l’elezione diretta del primo ministro, ma solo una indicazione da parte degli elettori.
Gli elettori, votando per una determinata coalizione, avrebbero la possibilità di indicare il leader di quella coalizione come futuro premier.
Esempio di tale modello è il quello di Westminister nel Regno Unito, nel quale però non è prevista l’elezione diretta del capo del governo ma bensì una consuetudine costituzionale in base alla quale il primo ministro è sempre il leader del partito principale.
Ça va sans dire che  l’elettorato è perfettamente consapevole che votando per un partito piuttosto che un altro si avrà questo o quell' altro premier.
Lo scorso 3 novembre il Consiglio dei ministri ha approvato all’unanimità il disegno di legge con cui il governo vuole introdurre l’elezione diretta del premier.
L' incipit del Disegno di Legge Costituzionale recita: "La presente proposta di revisione costituzionale ha l’obiettivo di offrire soluzione a problematiche ormai risalenti e conclamate della forma di governo italiana, cioè l’instabilità dei Governi, l’eterogeneità e la volatilità delle maggioranze, il « transfughismo » parlamentare...al contempo la proposta di legge mira a consolidare il principio democratico, valorizzando il ruolo del corpo elettorale nella de- terminazione dell’indirizzo politico della Na- zione, attraverso l’elezione diretta del Presidente del Consiglio dei ministri e la stabilizzazione della sua carica, per dare appoggio e continuità al mandato democratico.".
Premesse sicuramente meritevoli di lode. Analizziamo il testo dal punto di vista tecnico.
Il  disegno di Legge si compone di 5 articoli:
- L' art. 1 prevede l'abrogazione del secondo comma dell’articolo 59 della Costituzione che contiene la previsione secondo la quale il Presidente della Repubblica può nominare senatori a vita cinque cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico artistico e letterario. 
- L’art. 2  sopprime, al primo comma dell’art. 88 della Costituzione le parole “o anche una sola di esse”. Tale norma prevede che il Presidente possa sciogliere una sola Camera. Al fine di armonizzare il dettato costituzionale alla riforma rendendo possibile solo lo scioglimento contestuale di entrambe le camere. Buona parte della Dottrina ha osservato come lo scioglimento assumerà di atto complesso in quanto sarà necessaria l’iniziativa del primo ministro su deliberazione dell’organo collegiale. (cfr. Gentilucci)
- L’art. 3 interviene sull’art. 92 della Costituzione e stabilisce che:"Il Governo della Repubblica è composto dal Presidente del Consiglio e dai Ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei Ministri…". Con tale disposizione si attribuisce chiaramente un potere di direttiva al Premier discordandosi dal passato che aveva sempre visto il Primo Ministro primo inter pares. Ed ancora "... il Presidente del Consiglio è eletto a suffragio universale e diretto per la durata di cinque anni. Le votazioni per l’elezione del Presidente del Consiglio e delle Camere avvengono tramite un’unica scheda elettorale. La legge disciplina il sistema elettorale delle Camere secondo i principi di rappresentatività e governabilità e in modo che il premio assegnato su base nazionale garantisca ai candidati e alle liste collegati al Presidente del Consiglio dei Ministri il 55% di seggi. Il Presidente del Consiglio è eletto nella Camera nella quale ha presentato la sua candidatura…". Si realizza nella pratica un sistema maggioritario puro certamente garanzia di una maggiore stabilità ma di una migliore rappresentatività come affermato nel testo dell’articolo! E' da rilevare il contrasto della  norma con la sentenza n. 35 del 2017 della Corte Costituzionale che aveva ripristinato per entrambi i rami del Parlamento una formula elettorale omogenea di stampo proporzionale. Proprio per tale ragione il Presidente del Consiglio ha precisato come la percentuale del premio di maggioranza potrebbe essere ritoccata nel corso dei lavori parlamentari e che, in luogo del turno unico, potrebbe essere previsto un doppio turno di votazione. Il terzo comma statuisce, poi, che "... Il Presidente della Repubblica conferisce al Presidente del Consiglio dei Ministri eletto l’incarico di formare il Governo e nomina, su proposta del Presidente del Consiglio, i Ministri...". E' evidente come si palesi un potere formale del Capo dello Stato che avrebbe il dovere di nominare il Presidente del Consiglio eletto dai cittadini e che - forse - non potrebbe neanche intervenire sulle modifiche di proposta sulla nomina dei Ministri. 
- L’art. 4 modifica l'art. 94 della Costituzione e stabilisce che "Entro dieci giorni dalla sua formazione il Governo si presenta alle Camere per ottenerne la fiducia. Nel caso in cui non venga approvata la mozione di fiducia al Governo presieduto dal Presidente eletto, il Presidente della Repubblica rinnova l’incarico al Presidente eletto di formare il Governo. Qualora anche quest’ultimo non ottenga la fiducia delle Camere, il Presidente della Repubblica procede allo scioglimento delle Camere...". Tale previsione conferma il ruolo centrale del Presidente del Consiglio. Il secondo comma dell’art. 4 aggiunge un ulteriore comma all’art. 94 precisando che " in caso di cessazione dalla carica del Presidente del Consiglio, il Presidente della Repubblica può conferire l’incarico di formare il Governo al Presidente del Consiglio dimissionario o a un altro parlamentare eletto in collegamento al Presidente eletto, per attuare le dichiarazioni relative all’indirizzo politico e agli impegni programmatici su cui il Governo del Presidente eletto ha chiesto la fiducia alle Camere". Questa è la cosiddetta clausola “anti-ribaltone”, che consentirebbe ai parlamentari di sostituire il capo del governo, senza modificare la conformazione della maggioranza parlamentare per evitare cambi di maggioranza in corso di legislatura, anche mediante governi tecnici. Attenzione, in tal modo si potrebbe correre il rischio di violazione del principio del divieto di mandato imperativo, previsto dall’art. 67 della Costituzione. Secondo tale principio, figlio del parlamentarismo moderno, i membri delle Camere, in quanto rappresentanti dell'intera Nazione, esercitano il loro mandato senza vincoli giuridici sia rispetto agli elettori dei collegi che li hanno eletti, sia nei confronti dei partiti per i quali si sono candidati. Dal divieto di mandato imperativo discende che il parlamentare è responsabile nei confronti degli elettori solo politicamente, in sede di rielezione. Il divieto del mandato imperativo nel Parlamento odierno si coniuga, tuttavia, con l'organizzazione in Gruppi parlamentari. Non si può nascondere come tale principio favorisca il passaggio dei parlamentari in un altro gruppo diverso da quello in cui sono stati eletti.
- L’art. 5 contiene due norme transitorie: la prima per precisare che i senatori a vita di vecchia nomina restano in carica anche dopo l’abrogazione del potere di nomina. La seconda per indicare che la legge costituzionale "si applica a decorrere dalla data del primo scioglimento delle Camere, successivo alla data di entrata in vigore della disciplina per l’elezione del Presidente del Consiglio dei Ministri e delle Camere".
Per concludere si vuole citare la prof. ssa Feroni che in sede di audizione informate in Senato ha evidenziato come "...in queste audizioni sono emerse alcune posizioni critiche che hanno evidenziato una possibile deriva antiparlamentare in quanto il Parlamento diverrebbe ostaggio del Governo. Mi sembra eccessivo.
In realtà, se vista sotto un’altra ottica, queste proposte si pongono come rimedio alle spinte assembleariste: la maggiore difficoltà per il Parlamento di sfiduciare il Governo non risiede nella modifica dell’art. 94, tanto che la sfiducia come ho detto resta in piedi.
C’è indubbiamente una maggiore difficoltà del Parlamento a sfiduciare un Premier che ha ricevuto una forte legittimazione popolare. D’altro canto se si arriva alla sfiducia il Parlamento si assume la propria responsabilità rispetto agli elettori, consapevole che questa scelta estrema conduce anche al suo scioglimento.
È un fattore di maggiore trasparenza, responsabilizzazione e legittimazione dal momento che il voto popolare crea un legame con l’eletto." (cfr. Audizione informale Commissione Affari costituzionali Senato della Repubblica ddl 935-830 Modifiche costituzionali introduzione elezione diretta Presidente del Consiglio, 7 dicembre 2023 - Prof. Ginevra Cerrina Feroni).

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