APOLOGIA DEL FASCISMO. STORIA DI UN REATO.

APOLOGIA DEL FASCISMO.  STORIA DI UN REATO.

Torino, 12 gennio 2024. Di Chiara Zarcone, avvocato del foro di Torino, giurista, già Cultore della materia Diritto Penale presso l’ Università degli studi di Torino.

Ogni qualvolta ci si trovi innanzi ad una fattispecie di reato, opus est analizzarne la storia.

Il mio Maestro amava ricordare come non fosse sufficiente leggere le norme per comprenderne l' operare bensì fosse necessaria almeno una lettura dei lavori preparatori che vi hanno dato origine poichè solo così sarebbe stato possibile comprenderne appieno il DNA.

Così si vuole operare con riferimento all'analisi del reato di apologia del fascismo.

Bisogna puntualizzare come non tutti i reati siano previsti direttamente dal codice penale.

Esempio ne è proprio il reato di apologia del fascismo introdotto dalla cosiddetta “legge Scelba” che porta il nome del politico Mario Scelba e che fu firmata dal presidente della Repubblica Luigi Einaudi.

Subito dopo la guerra l' Italia era sicuramente un paese "traumatizzato" dal punto di vista sociale, economico e sopratutto politico.

I primi governi insediatisi avvertirono fortissima l’esigenza ed il dovere di proteggere la democrazia contro qualsiasi minaccia antisistemica che potesse in qualsiasi modo essere incompatibile con l' ordinamento liberale o che potesse minacciare i principi della appena nata Costituzione.

Lo stesso Einaudi teorizzò l' introduzione di una legislazione difensiva contro specifiche violazioni dell’ordine democratico - escludendo però gli orientamenti politico-ideologici.

Le tensioni sociali e gli scontri tra opposizioni di destra e di sinistra spinsero il governo alla creazione di un comitato interministeriale presieduto da Mario Scelba il quale fu incaricato dal governo De Gasperi di coadiuvare il ministro Attilio Piccioni nell'aggiornare la legislazione circa la sicurezza del Paese.

Frutto di questo comitato fu proprio la "Legge Scelba" concepita allo scopo di salvaguardare l' ordine sociale costituito.

Il richiamo alla ricostituzione del Partito Fascista rappresentava l’esito delle mediazioni politiche dentro e fuori dalla Democrazia Cristiana senza dimenticare come questa potesse rappresentare al contempo un strumento di contenimento delle pressioni eversive o rivoluzionarie sia di destra che di sinistra.

Il 23 giugno del 1952, la “Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana” annunciò che la Camera dei deputati ed il Senato della Repubblica avevano approvato la legge che all’articolo 1, relativo alla riorganizzazione del disciolto partito fascista, recitava: "Ai  fini  della XII disposizione transitoria e finale (comma primo) della  Costituzione,  si  ha  riorganizzazione  del disciolto partito fascista  quando  una  associazione o un movimento persegue finalità antidemocratiche proprie del partito fascista, esaltando, minacciando o usando la violenza quale metodo di lotta politico o propugnando la soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione o denigrando la  democrazia,  le  sue  istituzioni  e  i valori della Resistenza o svolgendo  propaganda  razzista, ovvero rivolge la sua attività alla esaltazione  di  esponenti,  principii,  fatti  e  metodi  propri del predetto  partito  o  compie  manifestazioni  esteriori  di carattere fascista."

L’articolo 4 della “legga Scelba” stabilisce che chi fa propaganda "per la costituzione di una associazione, di un movimento o di un gruppo avente le caratteristiche" del disciolto partito fascista può essere punito con una reclusione in carcere dai sei mesi ai due anni e con una multa.

È punito con la stessa pena anche "chi pubblicamente esalta esponenti, principi, fatti o metodi del fascismo" oppure le sue "finalità antidemocratiche". Le pene inoltre risultano inasprite se l’apologia di fascismo avviene a mezzo stampa. La citata Legge fu introdotta al fine di attuare la dodicesima disposizione transitoria e finale della Costituzione, in virtù della quale "è vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista".

L’articolo 4 della Legge contiene un richiamo al art. 28 comma II del codice penale rubricato come "interdizione dai pubblici uffici". Tale richiamo evidenzia come un soggetto condannato per apologia di fascismo viene privato sia del diritto di votare che di essere eletto nonchè di ogni pubblico ufficio o incarico non obbligatorio di pubblico servizio. 

Il quadro normativo così delineato, come spesso accade, è stato oggetto di moltissime riflessioni, sia per quanto riguarda le proposte di Legge che si sono susseguite nel tempo, sia per quanto riguarda l'ambito pratico-applicativo - il cosiddetto "diritto vivente".

Cronologicamente non si può non fare menzione della Legge Mancino la quale si proponeva di dare attuazione alla Convenzione internazionale sulla eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale”.

Tale Legge aveva lo scopo di ampliare l’ambito di applicazione della XII Disposizione transitoria e finale della nostra Costituzione così da garantire il rispetto delle regole internazionali.

La legge infatti punisce la propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale e etnico, ovvero chi istighi a commettere o commetta atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, con la reclusione fino a un anno e sei mesi o con la multa fino a 6.000 euro; quindi  con la reclusione da sei mesi a quattro anni chi, in qualsiasi modo, inciti a commettere o commetta violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi.

Questa Legge si inserisce nel contesto delle leggi contro il fascismo e la sua apologia, condannando innanzitutto azioni e gesti che, riconducibili all’ideologia fascista o nazista, incitino alla violenza e alla discriminazione per motivi razziali o etnici condannando al contempo anche l’utilizzo di simboli legati ai movimenti stessi.

Recentemente, nel 2017, il disegno di legge “Fiano” è ritornato sulla struttura del  reato di apologia del fascismo con l’intenzione di estendere la portata sanzionatoria dell’art 293 bis del codice penale punendo con la reclusione da sei mesi a due anni e con multa da 206 euro a 516 euro si vuole punire “Chiunque propaganda le immagini o i contenuti propri del partito fascista o del partito nazionalsocialista tedesco, […]anche solo attraverso la produzione, distribuzione, diffusione o vendita di beni raffiguranti persone, immagini o simboli a essi chiaramente riferiti, ovvero ne richiama pubblicamente la simbologia o la gestualità”.

L' approssimarsi della fine della legislatura e l’avvicinarsi dello scioglimento delle Camere hanno impedito al disegno di legge di diventare legge dello Stato.

Sbirciando dalla serratura delle aule dei tribunali troviamo una situazione abbastanza incerta. Per citare qualche esempio nel 2017 il tribunale di Varese ha condannato un professore che scambiava all’uscita di scuola un saluto romano con un suo alunno.

Le motivazioni dei giudici facevano perno sulla “l’insita gravità” del gesto che non poteva passare inosservata specialmente là dove posta in essere da un insegnante ossia una figura educativa ed di esempio.

Per converso nel 2019 il tribunale di Milano ha assolto quattro uomini imputati per l’identico gesto evidenziando in parte motiva come nonostante il chiaro richiamo alla simbologia fascista, esso non determinava un serio e concreto pericolo di riorganizzazione del partito fascista.

La prima sezione penale della Cassazione con la sentenza numero 28565/2022, depositata il 20 luglio, ha rigettato il ricorso della Procura della Repubblica contro il verdetto dei giudici di primo e secondo grado, che avevano assolto sette membri dell’associazione politica Movimento Fasci Italiani del Lavoro (Mfl) dall’accusa di tentata ricostituzione del partito fascista.

Nella medesima sentenza la Corte stabiliva come la condanna di un movimento politico per il reato di apologia del fascismo è legittima qualora, nel suo programma, siano rintracciabili ideali, principi e intenzioni che mirano a compromettere l'integrità della democrazia.

La questione dunque si presenta non di univoca risoluzione, motivo per il quale la Sezione I della Corte di Cassazione ha ritenuto necessario rimettere la questione alle Sezioni Unite, proprio in considerazione dei contrasti al riguardo.

Si legge nel provvedimento che “secondo un primo orientamento giurisprudenziale che ritiene il saluto fascista sussumibile nella fattispecie dell’art. 2 d.l. 122 del 1993, tale manifestazione esteriore costituisce una rappresentazione tipica delle organizzazioni o dei gruppi che perseguono obiettivi di discriminazione razziale, etnica o religiosa, essendo costituiti per favorire la diffusione di ideologie discriminatorie.

Secondo tale opzione ermeneutica, il saluto fascista è una ‘manifestazione esteriore propria od usuale di organizzazioni o gruppi indicati nel decreto legge 26 aprile 1993, n. 122, ed inequivocabilmente diretti a favorire la diffusione di idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico’ (Sez. I, n. 21409 del 27/03/2019)"; ne consegue che il relativo gesto integra il reato previsto dall’art. 2 del citato decreto legge (Sez. I, n. 25184 del 04/03/2009).

Un altro orientamento citato dalla stessa Corte, invece, ha stabilito come “il delitto di cui all’art. 5 della legge 20 giugno 1952, n. 645 è reato di pericolo concreto, che non sanziona le manifestazioni del pensiero e dell’ideologia fascista in sé, attese le libertà garantite dall’art. 21 Cost., ma soltanto quelle manifestazioni che determino il pericolo di ricostituzione di organizzazioni fasciste, in relazione al momento ed all’ambiente in cui sono compiute, attentando concretamente alla tenuta dell’ordine democratico e dei valori ad esso sottesi” (Sez. V, n. 36162 del 18/04/2019).

Secondo la Sezione I occorre affrontare due profili interpretativi “concernenti l’inquadramento di tali condotte quali reati di pericolo concreto o di pericolo astratto, nonché il rapporto esistente tra le due fattispecie, registrandosi, anche su tali temi, contrasti giurisprudenziali, la cui risoluzione deve essere demandata alle Sezioni Unite".

E' dunque necessario individuare l' inquadramento del saluto fascista in una delle due fattispecie applicabili alle condotte "illecite".

L’intervento delle Sezioni Unite dovrà chiarire quale sia la natura del rapporto tra il reato di cui all’art. 5 legge n. 645/1952 e quello di cui all’art. 2 d. l. 122/1993, emergendo anche in questo caso un contrasto giurisprudenziale.

La Sezione I sintetizza questa necessità facendo riferimento a due principi di diritto nettamente in contrasto.

Secondo il primo di questi, il reato di cui all’art. 2, l. n. 25 giugno 1993, n. 205, “che sanziona le manifestazioni esteriori, suscettibili di concreta diffusione, di simboli e rituali dei gruppi o associazioni che propugnano idee discriminatorie o razziste, si differenzia da quello di cui all’art. 5, legge 26 giugno 1952, n. 645, che richiede che le medesime condotte siano idonee a determinare il pericolo concreto di riorganizzazione del disciolto partito fascista, ponendosi in rapporto di specialità con il primo” (Sez. I, n. 3806 del 19/11/2021).

Il secondo invece, in maniera diametralmente opposta, sancisce come “non sussiste rapporto di specialità fra il reato di cui all’art. 2 del d. l. 26 aprile 1993, n. 122, convertito con modificazioni nella legge 25 giugno 1993, n. 205, che incrimina le manifestazioni esteriori suscettibili di concreta diffusione, di simboli e rituali dei gruppi o associazioni che propugnano nell’attualità idee discriminatorie o razziste, e quello di cui all’art. 5 della legge 26 giugno 1952, n. 645, come modificato dall’art. 11 della legge 22 maggio 1975, n. 152, che sanziona il compimento, in pubbliche riunioni, di manifestazioni simboliche usuali o di gesti evocativi del disciolto partito fascista, non sussistendo un rapporto di necessaria continenza tra le due fattispecie, caratterizzate da un diverso ambito applicativo” (Sez. I, n. 7904 del 12/10/2021).

Come in tutti i casi di constato interpretativo: alla Cassazione a Sezioni unite l'ardua sentenza.