Cina: soft landing o atterraggio duro?

In piena crisi dei debiti sovrani della zona euro, cosa sta accadendo veramente in Cina, seconda potenza economica del mondo e colosso trainante dello sviluppo dei mercati emergenti? Una risposta esauriente e definitiva è al momento difficile da dare. Di sicuro l’ansia degli investitori, ormai all’ordine del giorno in Europa e Stati Uniti, si sta espandendo anche a questo paese. L’indice di Deutsche Bank relativo alle aziende internazionali maggiormente esposte verso la Cina ha fatto segnare una riduzione di ben il 40% nell’ultimo anno. Dopo una fase di sviluppo record l’economia di Pechino è destinata a rallentare. Nel 2008 è stato avviato dalle autorità un piano per contrastare la riduzione delle esportazioni durante la recessione in America e in Europa. La Banca centrale cinese ha poi alzato il livello dei tassi di interesse in più occasioni. Nel terzo trimestre di quest’anno il PIL è cresciuto del 9,1%, contro il 9,5% di quello precedente. Resta da capire se e in che misura questo rallentamento sia ‘’controllato’’ e in linea con una precisa strategia politica - in cui la crescita annua risulti comunque non inferiore all’8% - oppure se ci troviamo di fronte a qualcosa di più serio e incontrollato. A preoccupare sono alcune ‘’distorsioni’’ che hanno contraddistinto lo sviluppo cinese negli ultimi anni. E’ lo stesso partito comunista cinese ad ammettere che la crescita del paese, alimentata da un’enorme mole di investimenti (un valore pari a circa la metà del PIL), ha creato bolle e allocato risorse in settori privi di un senso economico: resta da vedere quando e con che modalità questa bolla si sgonfierà. Non a caso, per esempio, il governo sta tenendo sotto controllo il prezzo delle case. Uno studio di MarketWatch afferma che a Hong Kong il mercato immobiliare è trainato da investitori ricchi a tal punto da non preoccuparsi di affittare i loro appartamenti, con il risultato che in una città di sette milioni di abitanti si trovano ben 250 mila appartamenti sfitti. A preoccupare anche la situazione del sistema creditizio: questo è sostanzialmente dominato dalle grandi banche di stato che concedono prestiti sulla base delle istruzioni dei mandarini di partito, ma si è sviluppato anche un sistema bancario parallelo in cui soggetti con disponibilità liquide prestano fondi a tassi elevati ad aziende private che non hanno accesso alle linee di credito statali. In tal modo il credito rischia di andare fuori controllo. Gli analisti si dividono sulle sorti economiche della Cina e si sbizzarriscono in diverse previsioni: secondo Stephen Roach di Morgan Stanley un rallentamento della Cina ci sarà, ma senza catastrofi; l’economista star Nouriel Roubini, invece, sostiene che il maxi investimento sulla Cina avrà conseguenze dolorose, ma non prima del 2013-2014; addirittura c’è chi, come Jim Chanos, fondatore dell’edge fund americano Kynkos, afferma che il crash dell’economia cinese sia addirittura già iniziato. Sarà solo il tempo a decretare chi abbia ragione, ma una cosa è certa: l’espansione cinese non va più vista in maniera miope come un treno sicuro a cui aggrapparsi senza rischi.

Cina: soft landing o atterraggio duro?