RSO, RSS E AD … READ MORE

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Trento, 28 novembre 2023. Di Paolo Rosa, avvocato.

Non è un indovinello ma gli acronimi stanno per Regione a Statuto Ordinario, Regione a Statuto Speciale e Autonomia Differenziata.

Dopo aver tratteggiato gli aspetti giuridici più rilevanti che rendono complicata la realizzazione dell’autonomia differenziata (https://www.ifanews.it/l-autonomia-differenziata), è utile soffermarsi sulle voci di finanziamento.

L’Osservatorio CPI il 14 marzo 2023 ha pubblicato uno studio dal titolo “Le attuali regioni a statuto speciale: un modello per l’autonomia differenziata?” di Massimo Bordignon, Federico Neri, Leonzio Rizzo, Riccardo Secomandi:

«In Italia esistono già da molto tempo forme di “autonomia differenziata” a livello regionale.

Si tratta delle Regioni a statuto speciale (RSS) introdotte nel dopoguerra, tre piccole Regioni del Nord Italia (una delle quali divisa in due Province autonome) e le due isole principali.

Queste hanno competenze e forme di finanziamento diverse tra di loro e differenti anche dalle Regioni a statuto ordinario (RSO), le cui competenze sono invece fissate uniformemente dalla Costituzione.

Il disegno di legge sull’“autonomia differenziata” recentemente approvato dal CdM sembra far riferimento al modello delle RSS nel disegnare il percorso di attuazione dell’autonomia regionale per le RSO.

Ma è una buona idea? 

Un’analisi della esperienza storica delle RSS suggerisce una risposta negativa, per due ordini di ragioni. Per la grande complessità nella gestione dell’amministrazione pubblica sul territorio nazionale che ne risulterebbe. E per il sistema di finanziamento ipotizzato per le funzioni devolute, basato su compartecipazioni ad aliquote predeterminate sui grandi tributi nazionali. Questo

avvantaggerebbe le Regioni con una dinamica delle basi imponibili più elevata a discapito della collettività nazionale, costringendo lo Stato a rincorrere con extra risorse gli squilibri che così si possono generare.

Il dibattito sulla cosiddetta “autonomia differenziata” – l’attuazione del comma 3 dell’art. 116 della Costituzione che consente alle Regioni a statuto ordinario di ottenere “forme e condizioni particolari di autonomia” su un insieme vasto di materie – è stato rilanciato con forza a seguito dell’approvazione da parte del Consiglio dei ministri di un disegno di legge, presentato dal ministro Roberto Calderoli, che definisce i passaggi formali necessari per rendere operativa la norma costituzionale.[1]

Ma in Italia esistono già da molto tempo forme di “autonomia differenziata” a livello regionale, non a caso ricordate e sancite dalla Costituzione nel medesimo articolo 116, ai commi 1 e 2.

Si tratta delle cinque Regioni a statuto speciale (RSS) – le due isole maggiori e tre piccole Regioni del Nord Italia – introdotte nell’immediato dopoguerra per una pluralità di ragioni diverse (la protezione di minoranze linguistiche, il rispetto di trattati internazionali, la risposta a minacce secessionistiche, l’insularità).

A differenza delle Regioni a statuto ordinario (RSO), le cui competenze sono uniformi sul territorio nazionale come definite dall’art. 117 della Costituzione, l’attribuzione di risorse e competenze a ciascuna RSS è governata dal proprio statuto, che ha valenza costituzionale, e dalle norme di attuazione dello stesso che nel corso del tempo sono state più volte riviste, in una dialettica costante con lo Stato nazionale.[2]

Una domanda naturale che sorge è allora se le RSS possano rappresentare un modello per l’autonomia differenziata delle RSO, anche perché molti punti del DDL Calderoli (il carattere “pattizio” delle intese Stato-Regione e delle loro eventuali modifiche future, il sistema di finanziamento prefigurato per le funzioni regionalizzate) sembrano richiamare molto l’esperienza delle RSS.

Per rispondere è necessario ricostruire brevemente il percorso di queste specialità.

Il sistema di finanziamento delle RSS è basato su compartecipazioni al gettito dei tributi erariali riscossi o maturati sui loro territori, come si evince dalla Tavola 2 dello studio teste indicato:

«Il contributo alla finanza pubblica

Per quanto concerne il contributo richiesto alle autonomie speciali al risanamento dei conti pubblici, attuato principalmente attraverso tre azioni:

  • accantonamenti effettuati dallo Stato a valere sulle risorse spettanti alla regione come quote di compartecipazioni ai tributi erariali;

  • assunzioni da parte regionale di oneri in relazione a funzioni trasferite dallo Stato alla regione (ad esempio le province autonome di Trento e di Bolzano hanno assunto – in parte o interamente - gli oneri relativi alle rispettive Università degli studi, al Parco nazionale dello Stelvio, al finanziamento di progetti per i territori confinanti; la regione Valle d'Aosta ha assunto gli oneri per l'esercizio delle funzioni statali relative ai servizi ferroviari di interesse locale);

  • applicazione, prima, del patto di stabilità interno variamente modulato, e successivamente del pareggio di bilancioapplicato a decorrere dal 2018 a tutte le autonomie.

Il contributo dovuto a decorrere dal 2022, è determinato in attuazione di accordi bilaterali sottoscritti con ciascuna autonomia negli ultimi mesi del 2021, dalla legge di bilancio 2022 (legge n. 234 del 2021), per le regioni Sardegna (comma 543), Sicilia (comma 545), Friuli-Venezia Giulia (comma 554) e Valle d'Aosta (comma 559); dall'articolo 79 dello statuto (D.P.R. n. 670 del 1972, modificato dalla legge 234 del 2021, comma  549), per la Regione Trentino-Alto Adige e le Province autonome di Bolzano e di Trento». (Fonte: Camera dei Deputati, Servizio studi, XVIII Legislatura, Le regioni a statuto speciale).

«Per i meccanismi di finanziamento delle competenze eventualmente acquisite, è bene ricordare che le Regioni a statuto ordinario non chiedono l’attuazione della legge 42/2009 (rimasta sinora totalmente lettera morta per quanto le riguarda3) ma meccanismi finanziari speciali e “concordati”, simili a quelli in vigore per le Regioni a statuto speciale.

In particolare, un meccanismo che consente loro di trattenere una percentuale prefissata di una parte del gettito fiscale.

Si tratta di un meccanismo molto favorevole perché se il gettito fiscale nella regione cresce più che nella media, si acquisiscono risorse addizionali; se cresce meno c’è la possibilità di rivedere l’aliquota per ricevere dallo Stato quanto oggi viene speso.

Si tratta dello stesso meccanismo che garantisce alle aree a statuto speciale del Nord di disporre di risorse pubbliche straordinariamente superiori a quelle di cui possono beneficiare tutte le aree del Paese.

Il meccanismo verrebbe esteso alle tre regioni economicamente più importanti del Paese (Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna) determinando una secessione dei ricchi» (G. Viesti, “Verso la secessione dei ricchi?” Laterza, 2019; “Contro la secessione dei ricchi”, Laterza, settembre 2023) (Per un approfondimento si veda la memoria predisposta per la Prima Commissione Affari Costituzionali del Senato del 30.05.2023 a firma del prof. Gianfranco Viesti).

Come ho già ricordato nel mio precedente scritto, tutto dipende dall’IRPEF pro capite che è il seguente:

  • € 6.098,00 al Nord;

  • € 5.932,00 al Centro;

  • € 4.313,00 al Sud.

[1] Si veda: DDL “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario”, approvato nella riunione del Consiglio dei ministri del 2 febbraio 2023.

[2] Per un approfondimento, si veda: “Sulle problematiche concernenti l’attuazione degli statuti delle regioni ad autonomia speciale, con particolare riferimento al ruolo delle commissioni paritetiche previste dagli statuti medesimi”, 25 febbraio 2015.»

[3] La Corte ha, in proposito, ritenuto che “nella perdurante inattuazione della legge n. 42 del 2009, che non può non tradursi in incompiuta attuazione dell’art. 119 Cost., l’intervento dello Stato sia ammissibile nei casi in cui […] esso risponda all’esigenza di assicurare un livello uniforme di godimento dei diritti tutelati dalla Costituzione stessa (sentenze n. 273 del 2013 e n. 232 del 2011).

Tali interventi si configurano infatti come «portato temporaneo della perdurante inattuazione dell’art. 119 Cost. e di imperiose necessità sociali, indotte anche dalla attuale grave crisi economica nazionale e internazionale» (sentenza n. 121 del 2010), che ben possono essere ritenute giustificazioni sufficienti per legittimare l’intervento del legislatore statale limitativo della competenza legislativa residuale delle Regioni, (così le sentenze n. 273 del 2013 e n. 232 del 2011, in materia di trasporto pubblico locale).

Sempre la Corte ha rilevato che “il mancato completamento della transizione ai costi e fabbisogni standard, funzionale ad assicurare gli obiettivi di servizio e il sistema di perequazione, non consente, a tutt’oggi, l’integrale applicazione degli strumenti di finanziamento delle funzioni regionali previsti dall’art. 119 Cost.” (sentenza n. 273/2013) (Fonte Schema riassuntivo della legge 05.05.2009, n. 242 della Regione Veneto).