Consob, il presidente che odia il mercato

Approccio nazionalistico al mercato. Intelligenza con il “salotto buono”. Sostanziale indifferenza al risparmio senza nome e cognome. Spoil system all’interno della Commissione. A due anni dalla nomina, Vegas è rimasto un politico del tutto alieno alla natura e alla finalità di un’authority di mercato.

Quando nel giugno di due anni fa Lamberto Cardia terminò l’incarico di presidente della Consob, a nessuno venne mente di bandire una selezione pubblica per la scelta del successore, come accade in questi giorni per il governatore della Banca d’Inghilterra. Giuseppe Vegas, 61 anni, era in quel momento al fianco di Giulio Tremonti come viceministro dell’Economia, ruolo che si era conquistato per chiara fama come esperto di diritto ecclesiastico e finanza pubblica, dopo una carriera di funzionario del Senato e l’ingresso in Parlamento nelle liste del centrodestra sin dal 1996. La rivalità fra Tremonti e il sottosegretario Gianni Letta stava provocando uno stallo che per diversi mesi lasciò la Commissione nazionale per la società e la Borsa senza presidente. Il primo spingeva per la nomina del procuratore Francesco Greco, o per lo meno così lasciava intendere, l’altro per Antonio Catricalà, all’epoca numero uno dell’Antritrust.

L’abile gioco di sponda con Tremonti e la Lega, che vagheggiava il trasferimento della Consob Milano, permise a Vegas di conquistare la fiducia del Cavaliere e incassare la nomina a presidente della Commissione nel novembre 2010. Fiducia per fiducia, poche settimane dopo Vegas votò quella al governo Berlusconi, in difficoltà per la fuoriuscita dei finiani dalla maggioranza. Il tutto a pochi giorni dall’insediamento ufficiale come presidente dell’autorità di vigilanza della Borsa. Motivazione ufficiale: l’aula della Camera non aveva ancora ratificato le dimissioni da deputato. Un formalismo ineccepibile ma che marca tutta la distanza dall’abito mentale che ci si aspetta da chi chiamato a tutelare gli investitori.

Le premesse non erano dunque delle migliori, anche senza scomodare le migliori prassi in uso all’estero per scegliere i componenti delle autorità indipendenti. Due anni dovrebbero essere comunque un tempo sufficiente per cambiare d’abito. Eppure due anni non sono ancora bastati a Giuseppe Vegas per dismettere i panni del politico e vestire quelli dell’arbitro del mercato, avendo come riguardo, dice la legge, «alla tutela degli investitori nonché all`efficienza e alla trasparenza del mercato del controllo societario e del mercato dei capitali». La testa di Vegas invece non si è mai staccata dal vecchio mondo della politica: e la riprova e nei continui, ossessivi interventi su argomenti che non sono, o non sono più, di sua competenza. Il vecchio pallino della finanza pubblica, per esempio: fra interviste, dichiarazioni e interventi sulla stampa, Vegas torna sempre lì. A proporre ricette per superare la crisi e abbattere il debito, anche se non è chiaro perché non ci abbia pensato prima, quando era viceministro dell’Economia.

Varie ed eventuali. Le invasioni di campo nei confronti di altre autorità sono state in cima all’agenda Vegas: liquidità e patrimonializzazione degli istituti di credito, rischio default, riforma della Bce, argomenti che sono senza alcun dubbio nella competenza del regolatore bancario e non di Consob, sono stati per mesi un tema su cui l’attuale presidente ha martellato. Ha regalato titoloni sulla liquidità delle banche e il rischio fallimento dell’Italia, senza che il mercato facesse una piega. Ha attaccato l’Autorità bancaria europea (Eba) riguardo alle richieste di ricapitalizzazioni delle banche, provocando sorpresa e ilarità in Europa per la mancanza di galateo istituzionale: il capo di un’authority non si intromette pubblicamente sui temi di competenza di altre autorità. Per di più,  Vegas sosteneva le tesi dell’Abi, cioè dei banchieri e dei loro azionisti, a scapito dei depositanti e degli obbligazionisti delle stesse banche, che da banche più solide hanno tutto da guadagnare. Ma non finisce qui. Il presidente della Consob ha chiamato a raccolta governo e Banca d’Italia e non ha mancato di far conoscere la sua opinione niente di meno che sulla riforma della Bce e sui Trattati europei. Si è scagliato con la virulenza demagogica di un capopolo contro le agenzie di rating. Risultato: titoloni sui giornali e una lettera all’Esma (la “Consob europea”), che ha ricevuto una risposta piuttosto dura dai destinatari, che non hanno apprezzato né il metodo (i contenuti della lettera vennero anticipati dalla stampa) né il merito della questione. Nessuno ricorda, invece, che abbia mai alzato la voce in difesa dei risparmiatori contro la vendita di prodotti bancari di dubbia qualità: l’esiguità di sanzioni sull’applicazione della direttiva Mifid è lì a testimoniarlo.

Politica di sistema. Come un governatore Fazio fuori tempo massimo, Vegas si è messo a discettare contro lo “shopping straniero”, auspicando campioni nazionali che non si trovano. Ma non tutto il male viene per nuocere: l’antipatia per gli stranieri ha prodotto un intervento sull’operazione infragruppo messa in piedi dalla Parmalat a controllo francese con la consorella Lactalis America. Il fascicolo è stato subito trasmesso alla magistratura, come pure quello sugli acquisti di azioni Premafin da parte del finanziere francese Vincent Bolloré. Peccato che tanto attivismo sui conflitti di interesse sia rimasto un’eccezione. A parte la semplificazione della burocrazia per le imprese che emettono titoli e l’intervento sugli high frequency trader, di sensibilità verso la tutela dei risparmiatori ce n’è poca. «Secondo me, si  poteva fare di più e prima sulle varie vicende del capitalismo alto italiano che soffre e tende a risolvere i suoi problemi come sempre a spese dei risparmiatori senza nome e cognome», è il commento dell’economista Giacomo Vaciago. «Soprattutto in periodi nei quali riemergono problemi irrisolti che ci riportano dalle parti di corso Unione Sovietica a Torino o di via Stalingrado a Bologna, però la Consob è a questo che serve: a tutelare il risparmiatore senza cognome perché gli altri i loro affari li sanno fare benissimo».  

Approccio politico. La novità di maggiore portata dal politico Vegas in casa Consob è stato l’approccio politico alle questioni di mercato. Da autorità di garanzia, equidistante da tutte le parti in gioco, il presidente della Consob è stata progressivamente percepito come un arbitro che fa il tifo, più o meno esplicito, per la vittoria di questo o di quello, o attivamente impegnato per facilitare uno sbocco anziché un altro. La stella polare dell’azione di Vegas è diventato così l’equilibrio del sistema, leggi del salotto buono che ruota attorno a Mediobanca. Da qui l’antipatia per l’operazione condotta da Salini su Impregilo. In questo caso sul progetto di “campione nazionale” portato avanti dal gruppo romano e sull’auspicio di Vegas «di far entrare in Borsa nuovi operatori e nuovi imprenditori», faceva premio la preservazione degli equilibri del sistema Mediobanca, ruotanti attorno al controllo esercitato dalla famiglia Gavio su Impregilo. Il mercato l’ha pensata diversamente e, finora, gli investitori hanno dato fiducia a Salini. Ma è nel caso Fondiaria Sai che il Vegas-pensiero circa il ruolo e la funzione della Consob si è dispiegato integralmente. Un facilitatore delle operazioni di sistema, anche a costo di sacrificare la tutela dei piccoli azionisti, il cui valore è stato integralmente distrutto dalle modalità con cui Mediobanca ha concepito e attuato l’aumento di capitale di FonSai e l’intervento di Unipol. «Avrei apprezzato maggiore trasparenza verso il mercato – osserva Giuseppe Corvino, professore bocconiano di Economia degli intermediari finanziari, specializzato nelle assicurazioni – Per esempio riguardo al tema delle minusvalenze di cui tanto si è scritto sui giornali. Nel settore assicurativo vita le minusvalenze non sempre impattano direttamente con un rapporto di uno a uno sul patrimonio di una società. Sarebbe stato utile ed opportuno, se non anche necessario, comunicarlo al mercato». Ma in questo, come su altri aspetti (l’indipendenza dei consiglieri di FonSai, per esempio), la Consob di Vegas ha lasciato correre, salvo poi chiedere chiarimenti molto tempo dopo che la questione era finita sui giornali, o dopo la presentazione di un esposto da parte di Sator e Palladio, che nella partita erano rivali di Mediobanca e Unipol.

Arbitro o consulente tecnico? Ai non pochi difetti della Consob di Cardia, Vegas ne ha aggiunto un altro: quello di un presidente che interviene nel corso di un negoziato d’affari per dare indicazioni e suggerimenti. Il 27 gennaio di quest’anno, quando non era stato ancora firmato l’accordo vincolante fra la Premafin dei Ligresti e il gruppo Unipol (arriverà solo due giorni dopo), Vegas partecipa a un incontro con Alberto Nagel, a.d. di Mediobanca, l’a.d. della compagnia bolognese, Carlo Cimbri, gli avvocati e i consulenti dei Ligresti, fra cui il banchiere Gerardo Braggiotti. All’appuntamento si presenta accompagnato con Angelo Apponi, funzionario Consob promosso di recente, che in tutta la vicenda sarà l’ufficiale di collegamento con il quartier generale di Piazzetta Cuccia, in costante contatto con Stefano Vincenzi, dirigente di Mediobanca. Si viene a sapere che Vegas ha dato delle indicazioni su come evitare che scatti l’obbligo di Opa, e questo in assenza di qualsiasi procedura ufficiale. Quando gli altri commissari ne vengono a conoscenza dai giornali, scoppia la polemica interna: «Non mi pare opportuno – replicò il commissario Michele Pezzinga – e non so quanto giovi all’immagine della Consob, indossare i panni che normalmente vestono i consulenti di gruppi privati suggerendo una riformulazione dell’operazione che al momento nessuno sa se possa incontrare il via libera del collegio». Vegas ha di fatto impegnato la Consob, che è un organo collegiale, prima ancora che partisse l’istruttoria? La domanda è rimasta senza risposta. È un fatto che lo schema dell’operazione da lì in avanti rimarrà sostanzialmente immutato, con poche variazioni. Il collegio della Consob concluderà, sia pure a maggioranza, che no, non c’è obbligo di Opa: l’equilibrio del sistema è garantito. Il 17 luglio, era il secondo giorno dell’aumento di capitale, Cimbri incontra Vincenzi per strada a Milano, in via Filodrammatici, a pochi metri dal portone di Mediobanca. Gli rende omaggio così: «Stefano, dobbiamo tutto a te».

Articolo tratto da Linkiesta

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