Non un euro di aumento di capitale ad Unicredit senza (prima) nuove regole di governance

Scritto per Ifanews da Paolo Sassetti, ex membro del comitato scientifico Aiaf ed ex ceo Sopaf, professionista nella consulenza finanziaria.La notizia delle ingenti perdite da svalutazioni registrate nei primi 9 mesi del 2011 da Unicredit rende ancora più amara ed inverosimile la vicenda della liquidazione milionaria concessa all’amministratore delegato Alessandro Profumo.    Vicenda che sarebbe stata controversa anche se Profumo avesse lasciato, con le sue dimissioni, un bilancio di Unicredit pulito (se non proprio “profumato”), a maggior ragione oggi dopo circa nove miliardi di svalutazioni.    Appare un po’ autodifensiva la smentita della Fondazione CRT, uno dei principali soci della banca, all’ipotesi di un’azione di responsabilità verso Profumo. Infatti, la strategia delle acquisizioni a tappe forzare effettuata da Profumo fu pienamente condivisa dal Consiglio di Amministrazione della banca, in cui anche la Fondazione CRT è rappresentata: agire civilmente contro Alessandro Profumo significherebbe anche ammettere implicitamente le responsabilità del suo rappresentante in Consiglio.   La vicenda Unicredit è solo una della varie manifestazioni di “moral hazard” cui ormai ci ha abituato la finanza, ovverossia quel fenomeno in base al quale i manager della finanza si prendono dei rischi elevati, usando capitali di terzi (degli azionisti od in gestione), perché se le scommesse risulteranno vincenti, essi saranno coperti d’oro, se risulteranno perdenti, d’oro avranno comunque i “paracadute” negoziati già al tempo del loro ingaggio.   Con la variante che generalmente si riteneva il “moral hazard” confinato al trading speculativo sui mercati finanziari, oggi lo vediamo espresso anche nella politica della crescita tramite acquisizioni a tappe forzate.   Oggi Unicredit annuncia un aumento di capitale da 7,5 miliardi e nuovi esuberi di personale per 5.200 lavoratori.   Gli azionisti devono accettare queste decisioni senza contropartite? No di certo.   A mio avviso dalla vicenda di Unicredit si deve prendere lo spunto per iniziare a imporre regole diverse alla governance delle banche.   Tanto per iniziare, gli amministratori non operativi della banca dovrebbero spontaneamente ridursi gli emolumenti dei 2/3 per almeno i prossimi 3 anni. Gli amministratori non operativi – indipendenti o meno – sono coinvolti molto “a part time” nella gestione aziendale ed hanno tutti altre fonti di reddito. Poiché hanno condiviso scelte che hanno portato a questo gigantesco disastro finanziario e sociale, dovrebbero – come dovrebbe avvenire per i costi della politica – effettuare spontaneamente delle doverose rinunce economiche, ma solo in alternativa alle dimissioni.    In caso di dimissioni, invece, gli azionisti di riferimento avrebbero ovviamente sempre in diritto di nominare i consiglieri di loro spettanza ma, almeno, con volti nuovi e non compromessi.   Il mio appello perché il CdA discuta questa proposta è rivolto in particolare a Lucrezia Reichlin, donna di grande onestà intellettuale che – a quel che leggo dal suo curriculum – è membro del CdA di Unicredit, membro del Comitato per i Controlli Interni ed i Rischi, membro del Sottocomitato per i Rischi e membro dell’Organismo di Vigilanza costituito ai sensi del D. lgs. 23172001. Ritiene la Reichlin che i vari comitati di controllo cui lei partecipa (ed anche quelli cui lei non partecipa, come il Comitato Permanente Strategico) abbiano ben operato?   Analogamente il mio appello a discutere questa proposta è particolarmente rivolto al consigliere di amministrazione Theodor Weigel, che lasciò di se’ il ricordo di uno scrupoloso Ministro delle Finanze della Repubblica Federale Tedesca. Che oggi egli applichi quello stesso scrupolo e rigore come consigliere di amministrazione!   Per gli amministratori operativi, invece, vanno definiti dei valori massimi per gli emolumenti, parametrati ai minimi contrattuali di categoria (20-25 volte?), dei valori massimi per le buonuscite (10 volte il valore del TFR teorico?), dei valori massimi per il valore nozionale delle stock option concesse (2 volte il valore cumulativo dei emolumenti degli ultimi 5 anni?) e del differimento dei tempi per il loro incasso, proprio per evitare il rinnovarsi di scene incresciose del tipo “prendi i soldi e scappa”.   Inoltre, Unicredit ha ben 4 vicepresidenti, una sfoltitura sarebbe auspicabile.   Da considerare anche il rinnovo della società di revisione poiché non è francamente credibile che le svalutazioni decise da Consiglio emergano materialmente solo in concomitanza con il cambio dell’amministratore delegato, come  se non fossero – invece – già “maturate” da tempo. E dove si era nascosto, nel frattempo, il prudente apprez

Non un euro di aumento di capitale ad Unicredit senza (prima) nuove regole di governance