Petrolio: raggiunto il `Picco di Hubbert`

E’ da diversi anni che geologi ed esperti della materia si arrovellano per capire quanto vicino è il giorno in cui la produzione mondiale di petrolio avrà raggiunto il così detto “Picco di Hubbert” e,  a quanto pare, quel picco è già stato raggiunto.

Petrolio: raggiunto il `Picco di Hubbert`

Il “Picco di Hubbert” è un modello scientifico sull’evoluzione temporale della produzione di qualsiasi risorsa fisicamente limitata, che ha preso il nome del geofisico americano che nel 1957 lo ideò e prevede che per la terza fase, definita “picco e declino”, il graduale esaurimento della risorsa fossile in questione renda sempre più elevati i costi di investimento per estrarla, fino al punto che non sono più sostenibili. Secondo un recente studio pubblicato sulla prestigiosa rivista accademica Nature (n. 481, 26 gennaio 2012) da parte di James Murray e David King, il mondo avrebbe già raggiunto il `Picco di Hubbert` per il petrolio, più o meno intorno al 2005. Da quella data, infatti, la crescita della domanda è stata maggiore della produzione convenzionale di petrolio, che in questa fase si sarebbe mostrata inelastica, ovvero incapace di seguire la crescita della domanda. I due autori sostengono che dal 2005 il prezzo annuo del Brent (il contratto europeo) sarebbe cresciuto di circa il 15% all’anno (passando così da un prezzo di 15 dollari del 1998 ai 140 dollari del 2008), a fronte di una produzione mondiale più o meno costante. Non che il prezzo non sia più in grado di seguire la domanda –e lo dimostra il rapido crollo del prezzo del petrolio post fallimento Lehman Brothers della fine del 2008 -, ma la fornitura di petrolio non è più in grado di seguire la domanda in crescita. I due autori, inoltre, sono piuttosto dubbiosi sui dati forniti dall’EIA (l’agenzia americana per l’informazione) sulle riserve di petrolio “proven”, ovvero accertate. Un conto sono le riserve accertate, un altro è l’accessibilità di queste riserve, che sarebbero solo parzialmente estraibili. In più, c’è da tenere conto che per ogni nuova riserva trovata ci vogliono dai 6 ai 10 anni di perforazioni per iniziare ad estrarre il petrolio. Il più grande paradosso deriva dal fatto che a fronte di un continuo aumento delle riserve mondiali di petrolio, la produzione non è più in grado di seguire l’aumento della domanda e come risultato i prezzi salgono. A questo fenomeno, contribuiscono anche le perdite annue dei giacimenti, che variano dal 4,5 al 6,7% -per cui ogni anno l’aumento della produzione deve essere in grado di coprire le perdite fisiologiche dei giacimenti e l’aumento della domanda.

A livello mondiale, la produzione dal 2005 al 2010 è aumentata di un risicato 2,65% (dati EIA), passando dai 30,88 miliardi di barili ai 31,70 miliardi di barili, a fronte di un aumento del prezzo del petrolio del 40,32% (stiamo parlando del WTI, il contratto americano). E’ chiaro quindi, che la produzione non è stata in grado di reggere la domanda ed il prezzo è andato alle stelle, basti pensare che il prezzo medio del 2008 era aumentato del 76% rispetto ai valori del 2005, con la produzione ferma a 31,24 miliardi di barili.

Il Medio Oriente è la prima zona di produzione, che nel 2010 è stata pari a 9,29 miliardi di barili di petrolio (ovvero il 29,32% della produzione mondiale per il 2010), ma è soprattutto l’area con le maggiori riserve mondiali di petrolio, che l’EIA stima essere 746 miliardi di barili di petrolio (cioè il 55,61% delle riserve mondiali di greggio). Al secondo posto troviamo il Nord America, che nel 2010 ha prodotto 5,90 miliardi di barili di petrolio, a fronte di riserve pari a 209 miliardi di barili di petrolio (ovvero 15,60% del totale). Sul fronte dei consumi, gli Stati Uniti sono il paese che ha consumato il maggior quantitativo di petrolio nel 2010, pari a 6,99 miliardi di barili (il 22% del totale dei consumi mondiali), seguito dall’Europa, con 5,54 miliardi di barili e la Cina, con 3,43 miliardi di barili di petrolio.

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Analizzando la produzione di Medio Oriente e Nord America (insieme rappresentano circa la metà della produzione del 2010 ed il 71% delle riserve mondiali di petrolio), notiamo che dal 2005 si può scorgere per il primo una stabilizzazione della produzione di petrolio (nel 2005 è pari a 9,33 miliardi di barili, nel 2010 9,29 miliardi di barili), mentre le riserve provate di petrolio hanno mostrato un lieve incremento, arrivando a 753 miliardi di barili nel 2011 da 729 miliardi di barili del 2005. Il Nord America, che sembrava avesse toccato il proprio picco nel 2003 con 5,74 miliardi di barili di produzione di greggio (a cui è seguito un declino fino ad arrivare ai 5,49 miliardi di barili del 2008), ha però beneficiato dello sfruttamento del petrolio non convenzionale (delle sabbie bituminose canadesi e delle formazioni scistose degli Usa), portando così la produzione a 5,90 miliardi di barili nel 2010.
Analizzando la produzione mondiale di petrolio in rapporto alle riserve, dal 1997 al 2010 notiamo che c’è stato un notevole balzo delle riserve fra il 2002 ed il 2003, passando da 1.032 miliardi di barili a 1.212 miliardi di barili di petrolio accertato, un aumento del 17% in un solo anno. Dal punto di vista della produzione mondiale di petrolio, notiamo invece che dal massimo del 2006 -quando furono prodotti 30,91 miliardi di barili di petrolio-, solo nel 2010 siamo riusciti a sforare quel quantitativo, quando la produzione arrivò a 31,70 miliardi di barili (+2,55%), un po’ poco considerando l’alto prezzo del petrolio, con il WTI che nel 2005 viaggiava intorno ai 55 dollari, mentre nel 2010 il prezzo era tornato in fretta attorno agli 80 dollari al barile.

Lo studio degli scienziati Murray e King, pubblicato sulla prestigiosa Nature rinvigorisce di autorevolezza il dibattito sull’imminente “Picco di Hubbert” per il petrolio, risorsa alla base del nostro sistema economico. Pare essere certo che il petrolio convenzionale, cioè quello più facilmente ed economicamente estraibile (quello dei classici pozzi petroliferi) abbia raggiunto il picco della produzione intorno al 2005, così che ora ci rimane da estrarre quello più profondo e difficile da raggiungere o quello non convenzionale. Se poi, come i due autori dello studio sostengono, le stime delle riserve fornite dall’EIA e dalle stesse compagnie petrolifere sono troppo ottimistiche, esagerate, così come lo sembrano essere le promesse di una nuova panacea che arriverà dal petrolio non convenzionale (sulla cui sfruttabilità permangono ancora molti dubbi di vari esperti del settore, dubbi di tipo economico, tecnico ed ambientale), allora forse siamo davvero vicini alla fine del petrolio. Non stiamo parlando della fine dal punto di vista geologico (per quello c’è ancora da aspettare diversi decenni e forse non verrà mai estratto completamente), ma della “fine economica” della risorsa che ha caratterizzato più di tutte il progresso economico del Novecento.

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