Dazi tra dietrofront e danni collaterali: le conseguenze della politica economica di Trump

Milano, 5 maggio 2025. A cura di Enguerrand Artaz, Strategist di La Financière de l’Échiquier
Lo scorso 2 aprile Donald Trump celebrava il suo tanto atteso «Liberation Day» e, cartellone alla mano, annunciava dazi doganali «reciproci» esorbitanti nei confronti di tutti i suoi partner commerciali.
I mercati finanziari crollavano in seguito a queste dichiarazioni che minacciavano di spazzare via l'equilibrio commerciale mondiale.
A un mese di distanza, se si guardano i mercati azionari statunitensi è come se quell'episodio non fosse mai esistito.
L'S&P 500 ha quasi interamente recuperato il calo subito e il Nasdaq chiude addirittura sopra al livello del 2 aprile.
Una frase può riassumere il motivo di questo ottimismo dei mercati: “il peggio è alle spalle”.
Dal Liberation Day, infatti, molti sono stati i ripensamenti di Donald Trump: sospensione di 90 giorni dei dazi reciproci per tutti i Paesi ad eccezione della Cina, esenzione temporanea per i prodotti elettronici, agevolazioni per l'industria automobilistica...
Ma soprattutto, da diverse settimane l'amministrazione americana usa dei toni molto più morbidi nei confronti della Cina, unico Paese ancora soggetto ai dazi reciproci e che ha risposto colpo su colpo agli attacchi americani.
Si può così ritenere, benché occorra usare mille precauzioni quando si cerca di anticipare la geopolitica - a maggior ragione se guidata da Donald Trump - che il picco dell'escalation sia stato raggiunto e anche superato.
Eppure, contrariamente al messaggio inviato dai mercati siamo ben lungi dall’essere tornati alla situazione che precedeva il 2 aprile.
Nonostante le diverse pause ed esenzioni, negli Stati Uniti i dazi medi superano attualmente il 20%, contro il 2,4% nel 2024.
Mentre Scott Bessent, il Segretario al Tesoro, annuncia centinaia di interlocuzioni tra gli Stati Uniti e i loro partner commerciali, e anche se gli accordi di principio potrebbero essere più veloci, uno studio di Apollo Global Management ci ricorda che gli accordi commerciali richiedono parecchio tempo: 18 mesi in media per quelli conclusi dagli Stati Uniti negli ultimi decenni.
Nel frattempo, gli attori economici e le aziende, in primis, rimangono nell’incertezza più totale, che ha conseguenze molto concrete.
Le prenotazioni di navi mercantili sulla rotta tra la Cina e gli Stati Uniti sono diminuite del 40% rispetto allo scorso anno.
Nonostante le ingenti scorte accumulate, le grandi catene di distribuzione - come Walmart o Target - rilevano un rischio significativo che le stesse si esauriscano a breve termine.
Da tutte le indagini condotte presso le imprese emerge che la loro fiducia sta crollando, così come quella delle famiglie preoccupate per le conseguenze sia sui prezzi che sull'occupazione... e che hanno iniziato a limitare le spese discrezionali destinate, in particolare, al tempo libero, come dimostra il forte calo nella frequentazione dei ristoranti.
Pertanto, sebbene i mercati finanziari abbiano “comperato” la fine dell'escalation, siamo ancora molto lontani da un ritorno alla normalità.
Da un lato, non tutti gli asset hanno seguito la traiettoria dei mercati azionari visto che il dollaro è ancora nettamente più basso rispetto al periodo precedente il Liberation Day e l'oro molto più alto.
Dall’altro, anche se Donald Trump dovesse rimangiarsi la maggior parte delle sue dichiarazioni, i danni reali all'economia sono già stati causati e ogni giorno che passa, con i dazi doganali in vigore, se ne provocano di nuovi.
Il Presidente americano è un fautore della sperimentazione politica e della strategia del “banco di prova”.
Sembra però aver dimenticato, e con lui i mercati, un punto essenziale: i danni economici di una politica erratica non si annullano tanto facilmente quanto un decreto presidenziale.