"ERA MEGLIO SE STAVO ZITTA." LA VITTIMIZZAZIONE SECONDARIA.

"ERA MEGLIO SE STAVO ZITTA."   LA VITTIMIZZAZIONE SECONDARIA.

Torino, 29 settembre 2023. Di Chiara Zarcone, avvocato del Foro di Torino, Giurista, già cultore della materia Diritto Penale presso l'Università degli Studi di Torino.

"Era meglio se quella donna si faceva i fatti suoi e non chiamava l'ambulanza.

Non avrei denunciato, era meglio se stavo zitta".

Parola che significato tanto.

Parole di disperazione ed esasperazione pronunciate dalla vittima dello stupro di gruppo di Palermo.

Come può pensare questa giovane che tacere in merito alla violenza subita sarebbe stata una soluzione.

Cosa può averla condotta a tali pensieri?

Forse la gogna cui è stata sottoposta successivamente ai fatti è parimenti gravosa all'evento del quale è stata vittima?

L' art. 18 della Convenzione di Istanbul stabilisce come gli Stati firmatari debbano impegnarsi al fine di "evitare la vittimizzazione secondaria", che consiste in una serie di atteggiamenti posti in essere da soggetti terzi alla vittima di un reato di violenza, tali da far rivivere le condizioni di sofferenza a cui è stata questa è stata sottoposta.

Purtroppo spesso riconducibile alle procedure delle istituzioni susseguenti alla denuncia, o comunque all'apertura di un procedimento giurisdizionale.

Quasi nessuno presta particolare attenzione alla vittimizzazione secondaria, che purtroppo ha mietuto numerose vittime - tra tutti non deve essere dimenticato il caso di Tiziana Cantone, vittima in primis dei suoi carnefici deinde di una società sorda alle sue richieste di aiuto e che non ha saputo tutelarla dopo il male che le era stato fatto.

Tiziana, come altre donne, vittime di un fenomeno di natura riflessa che va a sommarsi ad una sorta di "vittimizzazione primaria" ravvisabile nella condotta violenta ed abusante degli autori del reato per il quale si procede.

L'effetto collaterale più allarmante che questo fenomeno produce quello di scoraggiare la presentazione della denuncia da parte della vittima stessa.

Si capisce bene come il nostro ordinamento, come quello di qualsiasi società civile - non possa tollerare che la vittima di un reato di genere debba avere paura di denunciare la violenza occorsa!

La radice culturale del fenomeno deve essere ricercata in una seria di costumi sociali stereotipati e consolidati che tendono a giustificare in un modo o in un'altro l'autore della violenza colpevolizzando per contro la vittima.

I rappresentanti stessi delle istituzioni, espressione della società, possono essere portatori, anche inconsapevoli, di pregiudizi e stereotipi di genere con possibile tendenza a colpevolizzare la vittima (cosiddetto victim blaming).

Come sempre è nostro dovere volgere lo sguardo alle fonti internazionali che definiscono e riconoscono in un atto ufficiale la vittimizzazione.

La Raccomandazione n. 8 del 2006 del Consiglio d’Europa la definisce così: "vittimizzazione secondaria significa vittimizzazione che non si verifica come diretta conseguenza dell'atto criminale, ma attraverso la risposta di istituzioni e individui alla vittima" (cfr Recommendation Rec(2006)8 of the Committee of Ministers to member states on assistance to crime victims, in cui al paragrafo 1.3 si definisce la vittimizzazione secondaria: «Secondary victimisation means the victimisation that occurs not as a direct result of the criminal act but through the response of institutions and individuals to the victim»).

La Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha evidenziato come lart. 8 della Convenzione attribuisca allo stato il dovere di proteggere le presunte vittime di violenza di genere immagine, dignità e riservatezza personale anche nella loro immagine, dignità e riservatezza personale.

Tale obbligo restringe la facoltà dei giudici di decidere liberamente nei casi in cui si debba proteggere da interferenze non giustificate limmagine e la vita privata delle parti.

La Corte inoltre amplia ancor di più la visuale sull'argomento cristallizzando il principio secondo il quale gli obblighi di protezione si estrinsechino anche nella non divulgazione di informazioni e dati personali non strettamente rilevanti per la risoluzione della controversia.

Con la sentenza del 27 maggio 2021, nella causa J. L. c. Italia (ricorso n. 5671/16), la Corte Europea dei Diritti dellUomo ha condannato lItalia per violazione dellarticolo 8 della Convenzione EDU in materia di diritto al rispetto della vita privata e dell’integrità personale in quanto ritenne eccessiva l' enfasi posta su alcuni aspetti della vita privata della ricorrente vittima di un grave caso di violenza sessuale di gruppo, considerati del tutto ininfluenti per il vaglio di credibilità e per la decisione del processo elementi che, proprio per tale ragione, avrebbero dovuto rimanere assolutamente riservati ed in primis totalmente estranei al processo.

Rimane un dato di fatto che purtroppo è il cardine della tematica: i dibattiti e la tavole rotonde si sono rivelati assolutamente inutili.

Riprova di quanto detto risiede nel fatto che una ragazza, vittima di un gravissimo caso di violenza sessuale, abbia anche solo pensato di aver fatto male a chiedere giustizia.

Il problema non è normativo, almeno non soltanto, il problema è di ben più articolata risoluzione poiché risiede nel patrimonio socio-culturale dei consociati ed interessa non soltanto l'Italia ma tutti i paesi del mondo, forse con stereotipi diversi ma pur sempre con stereotipi di genere che non sono "curabili" se non con un esercizio costante e mai parsimonioso di CULTURA!

Crescete bambini liberi e siate voi stessi Maestri di libertà. Allenateli alla scuola delle idee, del senso critico e del rispetto.

Potremo sperare un giorno lontanissimo di avere un mondo sicuramente diverso; scrutando l'orizzonte "vedrete forse una lucina”; è la luce di una società più giusta, più umana, più felice; è la luce che mi ha guidato nella vita; è la luce che dovrete continuare a seguire voi, per voi stessi, per i vostri figli, per quelli che verranno dopo di voi." (Ricordando il testamento spirituale di un Grande Avvocato, Aldo Mirate, dal quale mi vanto di essere stata indegna ma fortunata allieva).