MANHATTAN HA RISCHIATO LA BOMBA ATOMICA DI HITLER.

  Milano, 11 agosto 2021. Di Luca Cerchiari - Musicologo, Critico Musicale, Accademico  Ai numerosi spettatori di La7 non sarà sfuggito uno dei più sconcertanti serial di argomento storico-politico trasmessi in questi anni, Hunting Hitler,

MANHATTAN HA RISCHIATO LA BOMBA ATOMICA DI HITLER.

 

presentato sulla tv italiana in queste settimane, il mercoledi’ sera, da Andrea Purgatori.

Si tratta di un lungo e ampio documentario a puntate realizzato principalmente da Bob Baer, ex-agente della CIA statunitense, assieme a John Sensich, con un’ampia squadra di esperti collaboratori sguinzagliati in mezzo mondo, e prodotto da Jeffrey Daniels.

L’argomento, non nuovo (ma nuove sono le clamorose conclusioni di tutta la vicenda), è quello della morte di Hitler, ufficialmente suicidatosi nel Bunker di Berlino assieme alla moglie Eva Braun il 30 aprile 1945.

Già Josif Stalin, alla guida dell’esercito russo che invase e conquistò Berlino, aveva comunicato al Presidente Usa Harry Truman che Hitler non era stato trovato e che poteva essere fuggito.

Il sospetto che la morte del dittatore nazista fosse una messa in scena è stato avvalorato dall’esame al DNA di un corpo che si riteneva fosse di Hitler, ma che si rivelò in realtà quello di una donna trentenne;

dunque, nemmeno di Eva Braun. Come già un libro di Maximillien de Lafayette (Last 20 Years of Hitler in Argentina and His Visitors from 1945 to 1965, Times Square Press), il documentario televisivo di Baer e Sensich, avvalendosi di molteplici ricerche su teatri e luoghi delle operazioni e attività belliche e post-belliche, ha messo in luce come di fatto il dittatore nazista sia fuggito dal Bunker attraverso una rete di sotterranei costruiti dall’architetto Albert Speer, prendendo il volo dall’aeroporto periferico berlinese di Tempelhof su un velivolo diretto verso una base militare tedesca in Danimarca, un giorno compreso tra il 20 e il 26 aprile 1945.

Da qui, su un aereo più grande e potente, Hitler(con lui la Braun e il generale Fegelein) si diresse in Spagna, Paese amico in ragione dei rapporti politici col Generale Francisco Franco, dove, una volta atterrato, sarebbe passato per il Monastero benedettino di Montserrat, a non molti chilometri da Barcellona, e quindi, spostandosi verso l’Atlantico, salpato su uno di un gruppo di più U-Boot(i celebri sommergibili tedeschi), vuoi da Vigo vuoi da Cadice(altre versioni del viaggio-fuga di Hitler sostengono invece che dalla Danimarca egli raggiunse in aereo Fuenteventura, nella isole Canarie, per poi da lì salpare su un U-Boot).L’U-Boot, probabilmente il numero 977, sarebbe arrivato sulle coste argentine, a oltre diecimila chilometri di distanza, in poco meno di due mesi.

La destinazione Argentina, qualunque sia stata l’esatta dinamica della fuga da Berlino, ha una precisa motivazione.

La cattolica Argentina (grazie agli ingenti fondi arrivati ai tedeschi riparati in Sudamerica attraverso il Banco di Santo Spirito, come dire con la diretta complicità del Vaticano), allora guidata dal generale e dittatore Juan Peron, fu a tal punto vicina al regime tedesco da permettere che nel giro di pochi anni il Paese ne ospitasse, anche dietro adeguate prebende, quasi ventimila esponenti, tra cui alcuni dei maggiori criminali ed esponenti del Terzo Reich, da Eric Priebke a Joseph Mengele.

Al punto da venir definita “il Grand Hotel dei rifugiati nazisti”. Architetto sapiente e organizzatissimo di questa diaspora, che ad analizzarne la cronologia inizia già nel 1943, facendo sospettare come l’idea che la Germania dovesse perdere la guerra fosse chiara ai suoi stessi folli reggenti, fu Martin Bormann, uno dei più abili e fidati collaboratori del Fuhrer.

A lui si devono la progettazione del viaggio, i contatti con la Spagna, i rapporti col dittatore argentino.

Ma in senso più lato, e ambizioso, anche la realizzazione di una rete internazionale di contatti e di attività politiche, economiche e tecnologiche volte a “riciclare” lo sconfitto regime nazista, ancor prima che esso cadesse all’inizio del maggio 1945.

Adolf Hitler, secondo i numerosissimi documenti internazionali desecretati dalla CIA nel 2014, che hanno permesso di realizzare l’inchiesta televisiva e il libro citato, cambiò più volte residenza per sfuggire ai possibili rischi di esecuzione da parte di soggetti nemici.

Eleggendo in ogni caso Bariloche, una cittadina dell’Argentina occidentale, a ridosso delle Ande, come principale centro operativo, in una villa denominata Casa Inalco.

Quasi una copia carbone della sua residenza montana di Berghof, in Germania, Casa Inalco affacciava su un lago, essendo così protetta da possibili attacchi.

Ma a pochi chilometri di distanza da Bariloche, sull’isola di Huemul, Adolf Hilter aveva fatto arrivare il maggior fisico nucleare tedesco, già responsabile, nel 1945, in Turingia, degli esperimenti nucleari che il Terzo Reich non riuscì a portare a termine, lasciando agli Stati Uniti la triste primogenitura dell’uso della bomba atomica sul Giappone.

Finanziato ufficialmente da Peron, Ronald Richter diresse a Huemul, con molti uomini e mezzi, una nuova fase di ricerca, che avrebbe dovuto sfociare, nel disegno complessivo della nascita del Quarto Reich, in un vendicativo attacco atomico su Manhattan, centro nevralgico ed emblema degli Stati Uniti.

Qualcosa deve essere andata storta anche questa volta, per nostra fortuna.

Hitler sarebbe morto, sempre in Argentina, nel 1965.