IL VERMINAIO E IL GIORNALISMO D’INCHIESTA

IL VERMINAIO E IL GIORNALISMO D’INCHIESTA

Trento, 10 marzo 2024. Di Paolo Rosa, avvocato.

Il Procuratore della Repubblica di Perugia, in audizione alla Commissione Anti mafia, ha così dichiarato:

«"Gli accessi sono maggiori di 800.

Dal primo gennaio 2019 al 24 novembre 2022 Striano all'interno della banca dati Siva ha consultato 4.124 Sos, un numero spropositato.

Digitato 171 schede di analisi e 6 schede di approfondimenti seguite digitando il nominativo 1531 persone fisiche, 74 persone giuridiche.

Ha cercato 1.123 persone sulla banca dati Serpico, ma potrebbero essere pure tremila le ricerche, io sto parlando delle persone.

Ha effettuato 1.947 ricerche alla banca dati Sdi. Siamo ad oltre 10mila accessi e il numero è destinato a crescere in modo significativo".

"Ipotesi che la stampa abbia chiesto ricerche a Striano è un'imputazione provvisoria.”

“Questa è un'imputazione provvisoria.

Il fatto che la stampa abbia commissionato le attività di informazione a un ufficiale di polizia giudiziaria è un'ipotesi investigativa su cui auspichiamo di essere smentiti.

Ci sono stati casi in cui ritenevamo evidente che c'era stata una commissione per accedere alle banche dati", argomenta Cantone.

"Abbiamo analizzato i nominativi e i soggetti mediaticamente esposti, in quel lungo elenco di nomi 165 accessi complessivi riguardavano soggetti vip e sono oggetti del capo di imputazione", aggiunge.

E poi specifica: "Nei capi di imputazione i giornalisti sono 4, non 8, gli altri 4 non hanno nulla a che fare con il giornalismo, ma avevano rapporti con Striano"».

Nella vicenda sono coinvolti anche tre giornalisti d’inchiesta del Domani.

Il Direttore del Domani ha, tra il resto, dichiarato:

«L’episodio però è simbolico di un clima sempre più cupo che avvolge il libero giornalismo italiano: dalle leggi bavaglio che impediscono ai media di riportare le ordinanze di arresto alle querele sistemiche di membri del governo contro la stampa non allineata; dall’acquisizione dei tabulati telefonici ordinati dalla procura di Roma sui cellulari di giornalisti di Report (per individuare le fonti dello scoop dell’incontro tra Matteo Renzi e la spia Marco Mancini) fino all’intercettazione dei reporter da parte dei pm che indagavano sulle ong.

Dare notizie di rilievo su politici, aziende di Stato e criminali è diventato un lavoro a rischio.

Ma promettiamo ai nostri lettori, unici nostri padroni, di continuare a farlo. Anche a costo di infrangere le regole continueremo a onorare l’articolo 21 della Costituzione, tentando di illuminare il buio dentro il quale pezzi del potere amano muoversi lontano da occhi indiscreti». (Fonte: Emiliano Fittipaldi Dir del Domani).

“Il giornalismo d’inchiesta è diverso dal normale giornalismo d’informazione dal momento che presuppone un lavoro di ricerca e di elaborazione della notizia, con un approfondimento ben superiore a quello che è necessario nel trattare qualsiasi altra notizia o evento di cronaca.

Tale distinzione è ben riassunta dalle parole di Massimo Russo, ex Magistrato della Procura di Palermo, che sul punto afferma: “se per un cronista la notizia è il fatto in se, per il giornalista investigativo la stessa notizia è ciò che sta dietro al fatto o comunque oltre il fatto; scava in profondità oltre la superficie dei fatti, senza alcuna deferenza o riguardo nei confronti di nessuno e meno che mai del potere e dei suoi interpreti; non adempirebbe alla sua funzione se si limitasse ad una fretta e piatta ripetizione delle verità ufficiali e formali”». (Fonte: Disvelamento dei fatti e responsabilità civile di Alberto Scandola, Trento, Law and Technology, Papper n. 88, pag. 33, 2023).

Se ne è occupata la Corte di Cassazione, Sezione Terza Civile, con la sentenza n. 16236 del 09.07.2010, così affermando:

«Con il giornalismo di inchiesta l’acquisizione della notizia avviene “autonomamente”, “direttamente” e “attivamente” da parte del professionista e non mediata da “fonti” esterne mediante la ricezione “passiva” di informazioni.



Il rilievo del giornalismo di inchiesta, anch’esso ovviamente espressione del diritto insopprimibile e fondamentale della libertà di informazione e di critica, corollario dell’art. 21 Cost. (secondo cui “tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”) nonché dell’art. 2 della legge professionale n. 69/1963 (dedicato alla deontologia del giornalista nell’ambito dell’Ordinamento della professione di giornalista), è stato, tra l’altro, riconosciuto dalla Corte di Strasburgo (che, in particolare, con sentenza 27.3.1996 ha riconosciuto il diritto di liberamente ricercare le notizie sia l’esigenza di protezione delle fonti giornalistiche) e dalla Carta dei doveri del giornalista (firmata a Roma l’8 luglio 1993 dalla Fnsi e dall’Ordine nazionale dei giornalisti) che, tra i principi ispiratori, prevede testualmente che “il giornalista deve rispettare, coltivare e difendere il diritto all’informazione di tutti i cittadini; per questo ricerca e diffonde ogni notizia o informazione che ritenga di pubblico interesse, nel rispetto della verità e con la maggiore accuratezza possibile.

Il giornalista ricerca e diffonde le notizie di pubblico interesse nonostante gli ostacoli che possono essere frapposti al suo lavoro e compie ogni sforzo per garantire al cittadino la conoscenza ed il controllo degli atti pubblici.

La responsabilità del giornalista verso i cittadini prevale sempre nei confronti di qualsiasi altra.

Il giornalista non può mai subordinarla ad interessi di altri e particolarmente a quelli dell’editore, del governo o di altri organismi dello Stato”.

In tale contesto, al giornalismo di inchiesta, quale species, deve essere riconosciuta ampia tutela ordinamentale, tale da comportare in relazione ai limiti regolatori, dell’attività di informazione, quale genus, già individuati dalla giurisprudenza di legittimità, una meno rigorosa e comunque diversa applicazione dell’attendibilità della fonte (su cui, tra le altre, Cass. n. 1205/2007), fermi restando i limiti dell’interesse pubblico alla notizia (tra le altre, Cass. n. 7261/2008), e del linguaggio continente, ispirato ad una correttezza formale dell’esposizione (sul punto, tra le altre, Cass. n. 2271/2005);

è, infatti, evidente che nel giornalismo di inchiesta, viene meno l’esigenza di valutare l’attendibilità e la veridicità della provenienza della notizia, dovendosi ispirare il giornalista, nell’“attingere” direttamente l’informazione, principalmente ai criteri etici e deontologici della sua attività professionale, quali tra l’altro menzionati nell’ordinamento ex lege n. 69/63 e nella soprarichiamata Carta dei doveri (con particolare riferimento alla Premessa).

Ne consegue che detta modalità di fare informazione non comporta violazione dell’onore e del prestigio di soggetti giuridici, con relativo discredito sociale, qualora ricorrano: l’oggettivo interesse a rendere consapevole l’opinione pubblica di fatti ed avvenimenti socialmente rilevanti; l’uso di un linguaggio non offensivo e la non violazione di correttezza professionale.



Inoltre, il giornalismo di inchiesta è da ritenersi legittimamente esercitato ove, oltre a rispettare la persona e la sua dignità, non ne leda la riservatezza per quanto in generale statuito dalle regole deontologiche in tema di trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica (ai sensi dell’art. 25 della legge 31 dicembre 1996, n. 675; dell’art. 20 D.lgs. n. 467/2001 e dell’art. 12 del D.lgs. n. 196/2003).

Viene dunque in evidenza un complessivo quadro disciplinare che rende l’attività di informazione chiaramente prevalente rispetto ai diritti personali della reputazione e della riservatezza, nel senso che questi ultimi, solo ove sussistano determinati presupposti, ne configurano un limite.

In particolare, è da considerare in proposito che, pur in presenza della rilevanza costituzionale della tutela della persona e della sua riservatezza, con specifico riferimento all’art. 15 Cost., detta prevalenza del fondamentale e insopprimibile diritto all’informazione si evince da un duplice ordine di considerazioni:

a) innanzitutto l’art. 1, 2° comma, Cost., nell’affermare che “la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”, presuppone quale imprescindibile condizione per un pieno, legittimo e corretto esercizio di detta sovranità che la stessa si realizzi mediante tutti gli strumenti democratici (art. 1, 1° comma, Cost.) a tal fine predisposti dall’ordinamento, tra cui un posto e una funzione preminenti spettano all’attività di informazione in questione (e quindi a maggior ragione, per quanto esposto); vale a dire che intanto il popolo può ritenersi costituzionalmente “sovrano” (nel senso rigorosamente tecnico-giuridico di tale termine) in quanto venga, al fine di un compiuto e incondizionato formarsi dell’opinione pubblica, senza limitazioni e restrizioni di alcun genere, pienamente informato di tutti i fatti, eventi e accadimenti valutabili come di interesse pubblico.

b) Inoltre, non può non sottovalutarsi che lo stesso legislatore ordinario, sulla base dell’ampia normativa sopra richiamata, ha ricondotto reputazione e “privacy” nell’alveo delle “eccezioni” rispetto al generale principio della tutela dell’informazione; tant’è vero che in proposito, nello stesso Codice deontologico dei giornalisti (relativo al trattamento dei dati personali) all’art. 6 si legge testualmente che “la divulgazione di notizie di rilevante interesse pubblico o sociale non contrasta con il rispetto della sfera privata quando l’informazione, anche dettagliata, sia indispensabile in ragione dell’originalità del fatto o della relativa descrizione dei modi particolari in cui è avvenuto, nonché della qualificazione dei protagonisti.

La sfera privata delle persone note o che esercitano funzioni pubbliche deve essere rispettata se le notizie o i dati non hanno alcun rilievo sul loro ruolo o sulla loro vita pubblica. Commenti o opinioni del giornalista appartengono alla libertà di informazione nonché alla libertà di parola e di pensiero costituzionalmente garantita a tutti”; come anche deve ricordarsi che con Risoluzione dell’assemblea n. 1003 del 1 luglio 1993, relativa all’etica del giornalismo, il Consiglio d’Europa ha, tra l’altro, affermato che “i mezzi di comunicazione sociale assumono, nei confronti dei cittadini e della società, una responsabilità morale che deve essere sottolineata, segnatamente in un momento in cui l’informazione e la comunicazione rivestono una grande importanza sia per lo sviluppo della personalità dei cittadini, sia per l’evoluzione della società e della vita democratica”».



L’indagine accerterà se vi siano stati mandanti e se l’attività investigativa fosse preordinata all’avvio dell’azione penale.

In difetto di questi elementi a me pare che saremmo di fronte al giornalismo d’inchiesta.

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